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Vicenza, morti da “Chimaera”, il processo prosegue: niente archiviazione

Sotto accusa ex dirigenti dell’Ulss 8 e il primario di Cardiochirurgia

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Foto di repertorio

Il caso “Chimaera” torna prepotentemente al centro della scena giudiziaria vicentina. A sette anni dall’esplosione dello scandalo e a ridosso dei termini di prescrizione, il procedimento sulle infezioni da Mycobacterium chimaera non si chiude: il giudice ha respinto la richiesta di archiviazione e ha disposto il rinvio a processo di alcuni ex dirigenti dell’Ulss 8 Berica e del primario di Cardiochirurgia.

La vicenda era emersa nel 2018, quando la morte del cardiologo Paolo Demo – lui stesso contagiato dopo un intervento al cuore al San Bortolo – aveva riportato all’attenzione pubblica un problema noto fin dal 2014. Prima di morire, Demo lasciò al suo legale un dettagliato “memoriale-denuncia”, indicando come possibile fonte del contagio un macchinario per la circolazione extracorporea del sangue, già segnalato come potenzialmente a rischio.

Secondo la documentazione, la ditta produttrice aveva informato da tempo gli utilizzatori, compresa l’Ulss 8, ma l’apparecchiatura sarebbe rimasta comunque in uso.

Il nodo della prescrizione e la decisione del giudice

La Procura aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo per omicidio colposo legato alle infezioni da “chimera”, ma il giudice Matteo Mantovani ha deciso diversamente: si deve procedere. Saranno dunque valutate le posizioni di due ex direttori sanitari dell’Ulss 8 Berica e del primario di Cardiochirurgia.

Il magistrato ha inoltre ordinato nuove indagini sugli ex direttori generali dell’azienda sanitaria e su una dottoressa, anche loro indagati per omicidio colposo.

Al centro dell’inchiesta ci sono quattro decessi attribuiti al batterio e altri due casi di contagio sui quali è stato chiesto un ulteriore approfondimento.

Le opposizioni alla richiesta di archiviazione

Il Pubblico Ministero Angelo Parisi aveva ritenuto sufficienti gli elementi per chiudere l’indagine, ma i familiari del dottor Demo – assistiti dagli avvocati Pier Guido Scarlassara e Nicola Sartore – si erano opposti, affiancati dai parenti delle altre vittime.

Per il giudice, la responsabilità non può considerarsi esclusa: oltre agli avvisi della ditta produttrice, anche la Regione Veneto aveva scritto a migliaia di pazienti potenzialmente esposti, segnalando i rischi legati all’utilizzo dell’HCU “Sorin LivaNova”, presente in molti ospedali italiani. Dunque, per il magistrato, i vertici dell’Ulss erano consapevoli dei pericoli e avrebbero dovuto intervenire.

L’eredità del dottor Demo

Un ruolo centrale continua ad averlo il lavoro del dottor Demo, che indagò personalmente sulla malattia contratta dopo l’operazione, ricostruendone l’origine e le conseguenze. Le sue analisi furono poi utilizzate dalla Regione Veneto per definire il protocollo di diagnosi e trattamento dell’infezione da “chimera”.

Per il giudice, queste circostanze rendono impossibile archiviare il caso, anche se il rischio che la prescrizione arrivi prima della conclusione del processo rimane concreto.

Cos’è il “batterio chimera”

Il Mycobacterium chimaera è un micobatterio non tubercolare presente nell’ambiente, soprattutto nell’acqua, solitamente innocuo. Diventa però pericoloso nei pazienti operati al cuore, poiché può essere trasmesso attraverso l’aerosol generato dai dispositivi che regolano la temperatura del sangue durante gli interventi cardiochirurgici (Heater-Cooler Devices).

I sintomi possono comparire anche molti mesi dopo il contagio e includono febbre persistente, forte stanchezza e dimagrimento. La diagnosi è complessa e lenta, così come la terapia, basata su lunghi cicli di antibiotici combinati.

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