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Focus povertà. TREVISO 1/2

Treviso. Cinque i senza fissa dimora morti nel 2024

Vivere ai margini. Stranieri e italiani con cause comuni che portano alla povertà e alla perdita della rete sociale

senza tetto

L’ultimo si chiamava Marco Magrin. Aveva 53 anni ed è morto il 30 novembre 2024 nella propria auto all’interno di un garage di Monigo, dove viveva. Nella stessa palazzina dell’appartamento da cui era stato sfrattato, a quanto pare per motivi economici. Il sindaco Mario Conte ha inviato un esposto alla Procura della Repubblica per chiedere di aprire un’indagine per fare chiarezza su quanto è avvenuto. “La circostanza che nella città che amministro, nel 2024, un uomo possa morire di freddo e di stenti nell’indifferenza generale è qualcosa che non posso accettare”, scrive il primo cittadino a nome e per conto del Comune. A dare eco alla notizia e ad alzare i toni del dibattito cittadino è stato senza dubbio il fatto che l’appartamento nel quale l’uomo viveva non fosse di una persona qualunque, ma di un componente del centro sociale Django e dell’associazione Caminantes, che si occupa delle persone senza fissa dimora e di chi si trova in difficoltà abitative. In ogni caso il Comune vuole arrivare alla verità: di chi è la responsabilità di questa morte?

Magrin è solo l’ultima vittima della marginalità in città. Nel 2024 a Treviso sono state cinque le persone senza fissa dimora che hanno perso la vita. Il dato viene evidenziato nell’ultimo rapporto “La strage invisibile”, pubblicato dalla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, associazione che persegue finalità di solidarietà sociale nell’ambito della grave emarginazione adulta e delle persone senza dimora. Un fenomeno – quello di chi per mille ragioni non ha una casa, un posto in cui vivere, mangiare, lavarsi e che si ritrova conseguentemente ai margini della comunità, risultando appunto invisibile – che l’Istat ancora nel 2021 quantificava in oltre 110 persone, metà delle quali uomini ultra 55enni. Stranieri e italiani, non fa differenza. Perché le cause sono sempre più comuni: la perdita del lavoro, i problemi finanziari derivati anche dalle separazioni, l’esperienza del carcere. E la povertà quasi sempre porta con sé la perdita di una rete sociale.

Per fare fronte a quella che ormai non può più essere definita un’emergenza il Comune dal 13 dicembre ha avviato all’ex macello (vicino al comando della Polizia locale) una comunità alloggio, che è centro di accoglienza 24 ore su 24 per persone con grave marginalità, con funzioni di sostegno al progetto di vita della persona, con la prospettiva del reinserimento sociale, lavorativo e abitativo. Due i blocchi pensati dall’intervento: il primo, già completato, destinato alla comunità alloggio per i senza fissa dimora e il secondo, i cui lavori sono già stati consegnati, destinato a servizi diurni. L’asilo notturno è affidato alla gestione di Nova Facility e ospita chi prima dormiva all’ex Eca di via Risorgimento: 14 posti letto in stanze singole o doppie con bagno autonomo, a cui si aggiungono spazi di accoglienza, servizio e controllo riservati agli operatori. In questi stessi spazi, fino a quando non sarà ultimato il secondo stralcio della ristrutturazione, è allestita anche la mensa della solidarietà, con 25 posti. Successivamente l’ex capannone industriale accoglierà anche i servizi diurni, spazi polivalenti per l’aggregazione sociale, laboratori per il mantenimento e lo sviluppo delle abilità degli ospiti e servizi essenziali come la cucina, gli spogliatoi e la lavanderia. Ovvero una struttura integrata per un sostegno concreto a chi si trova in difficoltà ed è parte della comunità trevigiana.

Sara Salin

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