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Evasione e imprese

Concordato preventivo, un mezzo flop

Solo l’11% degli autonomi aderisce: la CGIA contesta le stime sull’evasione fiscale e critica la strategia del Ministero

Concordato preventivo biennale

Immagine di repertorio

Secondo i primi dati diffusi dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), il Concordato preventivo biennale (Cpb) ha ottenuto un’adesione limitata: appena 500.000 partite IVA, che frutteranno all’erario circa 1,3 miliardi di euro, ben al di sotto dei 2 miliardi previsti. Ogni contribuente coinvolto verserà mediamente 2.600 euro, ma per la CGIA di Mestre, il “mezzo flop” del Cpb non stupisce: la bassa adesione, sostiene l’associazione, rispecchia una stima dell’evasione fiscale tra gli autonomi eccessivamente gonfiata, basata su metodi di calcolo poco attendibili. Solo l’11% delle partite IVA ha aderito a un’iniziativa che, pur offrendo vantaggi concreti, non ha trovato l’interesse sperato.

Da tempo il MEF stima il tax gap complessivo a 82,4 miliardi di euro, dei quali ben 29,5 miliardi sarebbero attribuiti all’Irpef non versata dai lavoratori autonomi, con una presunta propensione all’evasione pari al 70%. Tuttavia, secondo l’Ufficio studi della CGIA, queste cifre non sarebbero realistiche: un autonomo del Nord in contabilità semplificata dichiara mediamente 33.000 euro lordi annui; se davvero eludesse il 70% delle tasse, il reddito reale supererebbe i 74.000 euro, una cifra difficile da raggiungere per chi lavora in autonomia, senza dipendenti. Il dato è ancora più criticato perché non include il tax gap dei soggetti esclusi dall’Irap, come i lavoratori in regime “minimi” e parte delle imprese agricole.

Il Concordato, nato per incentivare dichiarazioni più complete per il biennio 2024-2025, puntava a garantire entrate immediate per coprire la riduzione dell’Irpef. In cambio, il Fisco avrebbe temporaneamente allentato i controlli sui contribuenti aderenti. Ma per molti, la scelta di non partecipare al Concordato indica che l’evasione fiscale è meno diffusa di quanto stimato.

Contrariamente a quanto si pensa, i controlli fiscali non sono carenti. Nel solo 2023, tra verifiche e lettere di compliance, il Fisco ha interessato 3,7 milioni di partite IVA, pari al 65% delle attività imprenditoriali. Per la CGIA, è il segnale che le stime dell’evasione sono da rivedere: i dati attuali penalizzano ingiustamente gli autonomi e richiedono maggiore trasparenza e rigore da parte del MEF per ripristinare la fiducia nelle istituzioni.

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