Cerca

Test Miles 33

Scopri tutti gli eventi

EVENTI

Maysoon Majidi

Liberata l’attivista curdo-iraniana Maysoon Majidi

Accusata di essere una scafista, la vicenda assurda di Maysoon Majidi, perseguitata dal regime iraniano

Maysoon Majidi mostra le prove durante il processo

Maysoon Majidi mostra le prove durante il processo

Ieri, il tribunale di Crotone ha deliberato la scarcerazione di Maysoon Majidi, un'attivista e regista di origini curdo-iraniane, che era stata detenuta il 31 dicembre scorso con l'accusa di traffico di esseri umani in seguito a uno sbarco di migranti in Calabria.

Il Tribunale di Crotone ha ordinato la liberazione dell’attivista, accogliendo l’istanza presentata dal suo legale, l'avvocato Giancarlo Liberati. La decisione del giudice si basa sulle dichiarazioni rilasciate da alcuni testimoni durante l'udienza di martedì, alla luce delle quali sono venute meno le prove di colpevolezza nei confronti dell'imputata. Tuttavia, tale liberazione non rappresenta una conclusione definitiva del procedimento, in quanto l'udienza finale del processo riguardante Majidi è fissata per il 27 novembre. In quella sede, potrebbe avvenire l'assoluzione definitiva.

Majidi, attualmente ventottenne, è stata arrestata al termine di un lungo viaggio iniziato anni addietro con la sua fuga dall'Iran. In tale paese, infatti, la minoranza curda, di cui Majidi fa parte, è oggetto di persecuzione da parte del regime. La giovane aveva abbandonato l'Iran nel 2019, dopo essere stata incarcerata a causa del suo impegno attivista. Secondo quanto riferito dal suo legale, Majidi ha subito maltrattamenti e violenze durante la detenzione.

Insieme al fratello, come lei vittima di discriminazioni, Majidi si era rifugiata per qualche anno nel Kurdistan Iracheno, dove aveva continuato a fare attivismo soprattutto con l’associazione Hana, che si occupa di difesa dei diritti umani. Era partita verso l’Europa dopo che le era stato rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno in Iraq e dopo essere rimpatriata brevemente in Iran. Durante il processo aveva sostenuto di essersi imbarcata insieme al fratello in Turchia, con un viaggio costato migliaia di euro e pagato dal padre, professore in Iran, e di essere arrivata dopo cinque giorni di navigazione a Crotone, dove era sbarcata ed era stata arrestata.

L'accusa per cui era stata incarcerata

Majidi ha sempre proclamato la propria innocenza e, nei mesi trascorsi, ha più volte intrapreso scioperi della fame per sollecitare la sua liberazione. La procura di Crotone l'ha accusata di essere "l'aiutante del capitano", assegnandole il ruolo di distribuire acqua e cibo a bordo dell'imbarcazione e di mantenere la calma tra i passeggeri. Secondo le accuse, Majidi rischierebbe fino a 16 anni di reclusione, una sanzione di 15 mila euro per ogni persona presente sull'imbarcazione, che complessivamente ammontavano a circa settanta, e soprattutto il rimpatrio in Iran. Quest'ultimo punto, stando a quanto affermato dai suoi avvocati, metterebbe a serio rischio la sua vita a causa delle persecuzioni nei confronti della minoranza curda.

Le accuse rivolte erano basate sulle testimonianze di due persone, tra oltre settanta presenti sull'imbarcazione, che i legali di Majidi ritengono inaffidabili e che, secondo molti, sarebbero già state confutate. Spesso, in seguito agli sbarchi, avviene che qualcuno a bordo venga identificato dagli altri passeggeri come colui che ha guidato il mezzo e venga quindi arrestato; sovente tali accuse si fondano su deposizioni non adeguatamente verificate, ottenute in maniera sommaria e frettolosa durante le operazioni successive agli sbarchi.

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edizione