Sempre più spesso nelle aule giudiziarie giudici e avvocati dirimono questioni di risarcimento del danno avanzate da familiari nei confronti di altri componenti della stessa famiglia per comportamenti che ledono la loro personalità; offese e cattiverie domestiche che configurano ipotesi di responsabilità civile, di “illeciti endofamiliari”. Un tema sul quale si è discusso ampiamente soprattutto a partire dagli anni ’90, quando una serie di pronunce ha affiancato il risarcimento del danno ingiusto agli istituti che tradizionalmente riguardavano la famiglia, dall’addebito all’obbligo di mantenimento fino al sequestro di beni. Prima che questo tipo di responsabilità entrasse nei rapporti familiari ci è voluto del tempo, ma grazie ai profondi mutamenti sociali, culturali e normativi anche per i familiari che commettono violazione a carico dei loro congiunti può scattare una responsabilità risarcitoria e allo stesso tempo la vittima di tali soprusi può godere di maggiori tutele. Pensiamo alle tante azioni pregiudizievoli della dignità, dell’onore e della reputazione di un coniuge: la violazione dell’obbligo di fedeltà, i comportamenti violenti o discriminatori, la mancata assistenza materiale. Episodi di “illecito endofamiliare” si registrano anche nei rapporti di filiazione, ad esempio, il completo disinteresse verso i fi gli, i danni arrecati alla loro sfera patrimoniale, come il mancato mantenimento o l’assenza di istruzione ed educazione oppure gli ostacoli agli incontri e alle frequentazioni con il genitore non affidatario. In passato il fatto illecito commesso da un familiare ai danni di altro membro dello stesso nucleo comportava l’intervento del giudice solamente qualora si fossero intravisti gli estremi del reato, ossia quando la gravità del fatto commesso faceva prevalere l’interesse pubblicistico alla repressione e alla punizione del colpevole, rispetto all’interesse privatistico della tutela della famiglia. Negli ultimi anni si è venuta elaborando una figura di derivazione dottrinale e giurisprudenziale dal sintomatico nome: illecito endofamiliare. La Suprema Corte (Cass. Civ. 10/4/2012 n. 5652), menzionandolo apertamente, non ha mancato di riferirsi ad esso non tanto per descriverne i tratti peculiari, quanto l’idea di fondo in forza della quale la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio “non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ.”. Tale sentenza si pone in netto contrasto con il precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui “Dalla separazione personale dei coniugi può nascere, sul piano economico, a prescindere dal provvedimento sull’affidamento dei figli e della casa coniugale, solo il diritto ad un assegno di mantenimento dell’uno nei confronti dell’altro, quando ne ricorrano le circostanze specificamente previste dalla legge, con conseguente esclusione della possibilità di richiedere, ex art. 2043 del codice civile, ancorché la separazione si addebitabile ad uno di essi, anche il risarcimento dei danni a qualsiasi titolo risentiti a causa della separazione stessa “ (Cass. Civ., Sez. I, 6 aprile 1993 n. 4108). Conseguentemente la violazione dei doveri coniugali (dovere di fedeltà inteso nel senso di vicendevole lealtà e dedizione, dovere di assistenza morale e materiale, dovere di collaborazione inteso nel senso di solidarietà familiare, dovere di contribuzione ai bisogni della famiglia ciascuno in relazione alle proprie sostanze e al proprio lavoro) e di quelli derivanti dalla fi liazione, ogni qualvolta determinino un’offesa ai valori irrinunciabili della persona possono integrare gli estremi dell’illecito civile e dar luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali. Si è dunque al cospetto di situazioni in cui la riforma del diritto di famiglia si inserisce in un profondo mutamento delle relazioni che fa del singolo l’unico fattore del proprio destino all’interno di un’assoluta autonomia nelle scelte esistenziali, mutamento che non può di certo essere avversato poiché interessa l’individuo nel suo più profondo essere e voler essere. (tratto da Danni Endofamiliari: Conflitti e responsabilità all’interno delle coppie Guida al Diritto n. 1 gennaiofebbraio 2014). Avv. Elisabetta Ponzetti
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