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Politica
17.08.2024 - 11:30
L'ARRESTO E LE ACCUSE
A un mese dall'arresto, Renato Boraso, ex assessore alla mobilità del Comune di Venezia, si trova ancora in carcere a Padova. Arrestato il 16 luglio, Boraso è coinvolto in una maxi-inchiesta per corruzione, concussione e auto-riciclaggio che ha scosso la città lagunare. Secondo la Procura di Venezia, Boraso avrebbe favorito imprenditori "amici" negli appalti del Comune e delle società partecipate, oltre che nella vendita di Palazzo Papadopoli e nelle trattative sui Pili. Le accuse coprono un periodo che va dal 2015 e comprendono undici episodi di corruzione.
LA RICHIESTA DI CONTATTO CON IL FIGLIO
Dal giorno dell'arresto, Boraso non ha avuto contatti con il figlio quattordicenne, una situazione che lo tormenta profondamente. "Fatemi parlare con mio figlio", è l'appello che ripete costantemente. Questo grido di aiuto è stato affidato anche alla delegazione di "Nessuno tocchi Caino", composta da radicali, associazioni e consiglieri regionali, che venerdì scorso ha visitato la casa circondariale di Padova. Arturo Lorenzoni, consigliere regionale del gruppo misto, ha descritto Boraso come "veramente molto provato" e in grande difficoltà emotiva.
LE CONDIZIONI DI DETENZIONE
Boraso ha potuto vedere la moglie e la madre, ma non il figlio minorenne, per il quale è necessaria l'autorizzazione del giudice. La sua salute è monitorata dall'infermeria del carcere, poiché soffre di pressione alta e ha bisogno di medicinali per dormire. Nonostante le difficoltà, Boraso cerca di passare il tempo leggendo libri e studiando la documentazione relativa al suo caso. "È fiducioso di poter presto chiarire la sua posizione", ha dichiarato Lorenzoni, aggiungendo che l'ex assessore non si arrende.
L'INCHIESTA
L'inchiesta, che coinvolge 14 società e 33 persone, tra cui il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e due dei suoi collaboratori più stretti, Morris Ceron e Derek Donadini, continua a svilupparsi. I pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo stanno ancora sentendo testimoni, tra cui l'ex vicesindaca Luciana Colle, informata sui fatti relativi alla vendita di Palazzo Papadopoli. L'immobile, ex sede del comando della polizia locale in Piazzale Roma, è stato venduto al magnate di Singapore Ching Chiat Kwong per 10,8 milioni di euro, nonostante una stima iniziale di 14 milioni. La Procura sospetta un reato di corruzione anche in questa transazione.
Boraso ha fatto sapere che risponderà a tutte le accuse mosse contro di lui. Tra le prove a suo carico ci sono fatture per consulenze ritenute fittizie dalla Procura alla sua società "Stella Consulting", undici episodi di corruzione e 488 mila euro incassati in sette anni da imprese interessate ad appalti pubblici o lottizzazioni. Secondo l'accusa, esisteva un vero e proprio "sistema" con tanto di tariffario: il 3% o 4% delle gare assegnate e una tantum di 10 mila euro. Per la vendita di Palazzo Papadopoli, Boraso è accusato di aver incassato una tangente di 73 mila euro dal "grande accusatore" Claudio Vanin, il cui esposto ha dato il via alle indagini.
L'interrogatorio di Boraso, per cui la difesa ha presentato istanza la settimana scorsa, potrebbe avvenire in tempi brevi, forse già lunedì. Nel frattempo, la Procura continua a lavorare per fare luce su tutti gli aspetti di questa complessa vicenda. Boraso, dal canto suo, attende con ansia l'opportunità di chiarire la sua posizione e, soprattutto, di poter finalmente parlare con il figlio.
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