I sindacati sono sul piede di guerra dopo l’operazione che nelle scorse settimane ha portato all’accertamento di irregolarità nel 70% delle attività controllate, e alla chiusura di tanti laboratori. Il segretario della Filctem Cgil, Riccardo Colletti è categorico. “Ora vogliamo i nomi - dice. Vogliamo sapere chi chiede alle aziende cinesi forniture, aggirando ogni regola e creando un prodotto, che nei mercati esteri sarà facile identificare d’ora in poi come Made in China e non fatto in Riviera del Brenta. Da tempo sentiamo sempre i soliti, dire in pubbliche manifestazioni, che il lavoro nero non esiste. Vengano resi noti e pubblicati i nomi delle aziende, spesso anche griffe internazionali, che si servono per concorrere sul mercato di forniture realizzate da manodopera di lavoratori migranti a basso costo, o pagati in nero”. A dare il sostegno della Cgil di Venezia è Enrico Piron, segretario generale della Camera del Lavoro Metropolitana. “La Cgil - dice - è stata protagonista nei decenni scorsi della definizione di un contratto, che regolarizzava l’attività lavorativa domestica di molte donne. L’accordo è stato sottoscritto dall’allora segretario nazionale Sergio Cofferati. Tutto questo sembra essere stato spazzato via per colpa di imprenditori che, non si fanno scrupolo di utilizzare forme di lavoro che si possono defi nire schiavismo”. La Cgil auspica che la Guardia di Finanza di Venezia continui nella sua operazione di controllo dei laboratori cinesi, che rappresentano una filiera produttiva parallela alla produzione della Riviera. Il segmento più colpito all’interno del comparto del calzaturiero è quello dei tomaifici e dei suolifici. Dai dati di sindacati e Federmoda, in Riviera negli ultimi 7 anni sono spariti quasi 40 tomaifi ci regolari, che sono stati sostituiti da altrettanti tomaifici e suolifici clandestini. A causa di questi laboratori e a chi si fornisce da loro, hanno perso il lavoro 350 dipendenti del posto. L’analisi è chiara. La crisi ha fatto sì che i calzaturifici della zona per restar sul mercato hanno di fatto favorito la nascita di tomaifici e suolifici clandestini quasi tutti cinesi, con i “lavoratori - schiavi” che ci lavorano dentro. Cioè lavoratori che fanno 12- 14 ore al giorno, senza alcun diritto. Il costo di questi prodotti è un terzo o un quarto di quello di un tomaificio regolare. Il sindacato ha istituito un numero verde per segnalare i calzaturifici che lavorano con questi laboratori. Chiaramente di fronte ad una concorrenza suolifici gestiti da italiani con lavoratori in regola non potevano più stare nel mercato. Sono spariti quelli regolari per essere rimpiazzati dai clandestini, altrimenti la catena di produzione della scarpa non andrebbe avanti. I pochi che sono riusciti a sopravvivere devono confrontarsi con una concorrenza sleale che spinge a far tagli, anche su aspetti importanti come la sicurezza sui luoghi di lavoro. “Ma fermare il fenomeno, e stroncarlo - spiega Federmoda - non è difficile. Basterebbe la volontà dell’Enel. Le letture dei contatori sono centralizzate, come mai c’è da chiedersi, una abitazione privata consuma 10 kw ora, quando dovrebbe consumarne al massimo 1? Perché viene venduta energia elettrica con tipologia residenziale ad una attività che chiaramente non la è? Se non fosse più venduta energia elettrica a queste fi nte “abitazioni - laboratori” e si limitasse la fornitura a quella ad uso privato, al posto di 15 macchine da cucire ne funzionerebbero 2, e i tanti lavoratori resterebbero con le mani in mano. Per continuare dovrebbero trasferirsi in capannoni. Ma allora i costi sarebbero ben maggiori, e con l’emersione dell’attività, agli stessi cinesi non converrebbe più andare avanti. Come d’incanto tornerebbero i tomaifici italiani”. Alessandro Abbadir
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