Più che una riforma è una distruzione”. “L’abolizione sarebbe sicuramente stata più indolore”, “Con le Province si sta procedendo con una lenta e dolorosa morte per consunzione”. Queste alcune delle frasi raccolte fra i dipendenti della Provincia di Rovigo, che una settimana prima di Natale, capito quale sarebbe stato il regalo per loro, hanno dato luogo ad una vera e propria occupazione che è andata avanti quattro giorni e tre notti. E, anche se qualcuno ha trovato il modo di sorridere ricordando i tempi eroici delle superiori, il clima non era certo quello delle feste. Ora l’occupazione è finita, ma resta il presidio. E con esso le paure. Il colpo ferale è stato l’annuncio di un taglio di metà dei dipendenti. Che tradotto in cifre significa che in Veneto 1300 uomini e donne rischiano di trovarsi senza un’occupazione e senza nemmeno aver ben capito perché tocchi proprio a loro. A Rovigo sono 140 i posti a rischio, ma anche chi non verrà tagliato non ha alcuna certezza su dove ed a cosa lavorerà. “E’ una vergogna” hanno gridato i dipendenti di Palazzo Celio in coro con i colleghi degli altri sette capoluoghi veneti. Ma il loro grido sembra essere rimbalzato contro un muro d’indifferenza, proprio come previsto da chi questa riforma l’ha pensata, consapevole della generale ostilità dell’opinione pubblica verso i dipendenti pubblici. Ma il tutto è talmente pasticciato che lo stesso Achille Variati, il sindaco di Vicenza, ora anche presidente della “nuova” Provincia, renziano della prima ora, ha rivisto il proprio giudizio sul presidente del Consiglio. “No ai tagli lineari” e “Sì al riordino con garanzia dei servizi ai cittadini”, sono le scritte che campeggiano sui cartelli appesi sulla facciata di Palazzo Celio. All’interno, il clima è rovente. Pessimismo, senso di abbandono e scoramento regnano sovrani. “Non si capisce che fi ne faremo, cosa succederà e nemmeno se perderemo il posto di lavoro — commenta un dipendente - Nessuno sa chi deve fare cosa, né chi deciderà: il fine di questa riforma non è riorganizzare e risparmiare, ma torturare centinaia di lavoratori che hanno la colpa di lavorare in Provincia”. “Se l’obiettivo era di far male una legge, l’obiettivo è stato raggiunto”, commenta il neopresidente della Provincia Marco Trombini, che ammette che se avesse saputo a cosa sarebbe andato incontro, forse avrebbe fatto altre scelte. “Noi presidenti siamo tutti sindaci e questa questione sulla quale dobbiamo lavorare toglie tempo al nostro lavoro, non solo nelle rispettive amministrazioni comunali, ma anche di quelle provinciali che, al momento risultano paralizzate anche per le funzioni che hanno mantenute. E fa rabbia pensare che i due primi sostenitori di questa riforma così mal realizzata siano stati l’ex presidente dell’Anci Graziano Delrio e l’ex presidente della Provincia di Firenze e sindaco Matteo Renzi: sapevano bene cosa sarebbe successo, ma sapevano anche che la gente avrebbe accolto il tutto con indifferenza se non addirittura con soddisfazione, prendendo il tutto per un problema ‘della politica’, mentre così non è. E’ come il gioco delle tre carte. Invece, oltre funzioni importanti come i servizi nel sociale messi a rischio, c’è tutta la questione degli esuberi che è a dir poco delicata, anche se ovviamente faremo di tutto per sfruttare ogni possibilità per scongiurare che qualcuno possa ritrovarsi senza lavoro: ognuno degli enti deve fare la propria parte”. “Quello che mi dà più fastidio è che Matteo Renzi sia anche stato presidente di una Provincia, oltre che, come Delrio, anche sindaco: eppure la riforma che hanno varato è un pasticcio che non solo non produce risparmi, ma crea un caos amministrativo che danneggia le Province, i Comuni, i dipendenti e, in ultima istanza, i cittadini”. E con un misto di tristezza e rabbia che Laura Negri, per dieci anni assessore alla Cultura della Provincia di Rovigo e, di fatto, l’ultima a ricoprire un simile incarico, commenta quello che sta accadendo alle Province e, in particolare, al “suo” settore. Ha avuto modo di parlare con i dipendenti in questi giorni? “Sì. E li ho sentiti amareggiati, preoccupati e demotivati. Anche chi è sicuro di non perdere il proprio posto di lavoro, infatti, in questo momento non sa più non solo cosa dovrà fare domani, ma cosa fare oggi, quale sia il suo ruolo ed il suo compito. Un senso di disorientamento, di incertezza totale, che ovviamente paralizza l’azione della Provincia o di quello che ne rimane”. E per il settore della Cultura in Polesine quale sarà il futuro? “Nero, si rischia una totale disaggregazione di servizi e manifestazioni che, soprattutto in una realtà come la nostra, rischiano di essere accantonati e marginalizzati. La palla passa in mano ai Comuni e, in questo momento, sappiamo quali siano le priorità e le necessità. Alcuni servizi, come le biblioteche ed i musei, possono crescere solo se gestiti in rete. Questo, fra l’altro produceva anche risparmi. Invece, in questo modo diventerà sempre più difficile attrarre fondi ed intercettare i finanziamenti, così come organizzare manifestazioni di qualità. E’ una situazione tragica. Tanto per capire le conseguenze, anche le aperture di Villa Badoer sono in discussione”. Ne parla come se stesse perdendo qualcosa di suo... “In parte lo è, perché tutto l’impegno ed il lavoro di questi anni rischiano di essere gettati al vento non si sa bene nemmeno perché. Visti i livelli di improvvisazione sembra addirittura un dispetto, una ritorsione, quasi a voler placare l’astio che molti hanno verso la pubblica amministrazione gettandone nel tritacarne una parte che ha la sfortuna di trovarsi nell’ente politicamente meno forte”. Le responsabilità del Governo sono macroscopiche, ma la Regione? “La Regione è stata una delusione. Non sembra rendersi conto di quello che sta accadendo e si sta perdendo tempo. Eppure a parole è da anni che a Venezia si parla di una legge di riordino. Ora che non se ne può più fare a meno, invece, temporeggiano e rinviano. ”. Qualche soluzione?
“Di certo non è facile, perché la volontà sembra proprio quella di disintegrare tutto e creare il caos. L’ultima ancora di salvezza per il Polesine può venire da Rovigo, se davvero si crede nell’importanza di un ruolo di coordinamento svolto dal Comune capoluogo. Per ora, però, non è certo stato così”.
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