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Quando lo sport diventa un farmaco prescrivibile dal medico

La senatrice Daniela Sbrollini propone un ddl per “l’introduzione dell’esercizio fisico come strumento di prevenzione e terapia all’interno del Servizio sanitario nazionale”.

Quando lo sport diventa un farmaco prescrivibile dal medico

In Italia il costo dell’inattività fisica è stimato a 1,3 miliardi di euro nei prossimi 30 anni e proprio per questo il disegno di legge assume un peso fondamentale per incentivare l’esercizio fisico come strumento di prevenzione e di cura, rendendolo prescrivibile da parte del medico di medicina generale, pediatra di libera scelta e specialisti.

La Sen. Sbrollini, Presidente dell’Intergruppo parlamentare Obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili, sottolinea come un incremento della pratica sportiva nella quotidianità, diminuirebbe i casi di malattie non trasmissibili che gravano anche sulle economie dei singoli paesi.

Lo sport, nonostante sia un fattore determinante per la salute degli individui, è ancora troppo poco praticato.

I dati dell’Eurobarometro, infatti dicono che “nell’Unione europea il 45 per cento delle persone afferma di non fare mai esercizio fisico e che una persona su tre raggiunge livelli insufficienti di attività”.

“Step up! Affrontare il peso dell’insufficiente attività fisica in Europa” evidenzia che, con un aumento dell’attività fisica a 150 minuti a settimana, si eviterebbero in Europa 11,5 milioni di nuovi casi di malattie non trasmissibili entro il 2050, tra cui 3,8 milioni di casi di malattie cardiovascolari, 1 milione di casi di diabete di tipo 2, oltre 400.000 casi di diversi tumori.

Dichiara la Sen. Sbrollini “Il Disegno di legge che ho presentato intende dare la possibilità a pediatri, medici di medicina generale e specialisti di inserirlo in ricetta medica, così che le famiglie possano usufruire delle detrazioni fiscali. La speranza è che, recuperando attraverso il 730 parte dell’investimento, le persone siano incentivate a impegnarsi in attività positive per la propria salute”.

La proposta ha ricevuto il sostegno di numerose organizzazioni scientifiche e sportive, tra cui il Coni e Sport e Salute che auspicano che questa iniziativa possa posizionare la cura e la prevenzione delle malattie croniche al centro dell’agenda politica e legislativa, evidenziando il valore formativo, sociale e terapeutico dello sport.

I dati Istat, rilevano una diminuzione della sedentarietà e un aumento della pratica sportiva nell’ultimo ventennio.

Aumentano le persone di tre anni e più che praticano attività fisico-sportiva nel tempo libero, dal 59,1% del 2000 al 66,2% nel 2021, mentre si riduce la quota di chi non pratica alcuna attività, dal 37,5% al 33,7%.

Nel 2021 il 39,8% degli uomini pratica sport in modo continuativo o saltuario contro il 29,6% delle donne. Ma il gap di genere è in diminuzione: tra il 2000 e il 2021 la differenza uomo/donna si è ridotta di quasi il 30%.

Tuttavia risulta ancora forte il divario territoriale e per titolo di studio.

È al Nord la quota più elevata di praticanti sportivi (41,5%), segue il Centro (36,7%) e per ultimo il Mezzogiorno (24%). Forti le diseguaglianze legate al titolo di studio: pratica sport il 51,2% dei laureati contro il 15,6% di chi ha la licenza di scuola media.

Importante è anche la familiarità nella pratica sportiva dei più giovani. Quasi 8 ragazzi su 10 praticano sport se entrambi i genitori fanno sport, si scende a 3 su 10 quando sia il padre che la madre non sono praticanti.

I membri di una stessa famiglia condividono inoltre lo status socio-economico a cui spesso sono associate diverse opportunità e propensioni ad assumere comportamenti e stili di vita.

Giulia Sciarrotta

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