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Polesine, banchi più vuoti e fuga di talenti: -402 studenti e 13 cattedre in meno, la scuola cerca riscatto

La scuola polesana tra calo demografico, esodo dei laureati e tassi di disoccupazione e Neet sopra la media veneta, chiamata a ripensarsi per trattenere i giovani.

Polesine, banchi più vuoti e fuga di talenti: -402 studenti e 13 cattedre in meno, la scuola cerca riscatto

Sono 23.608 gli studenti iscritti alle scuole statali di ogni ordine e grado in provincia di Rovigo per l’anno scolastico in corso. Un dato che, però, conferma la tendenza negativa: rispetto allo scorso anno si contano 402 alunni in meno, dopo il già pesante calo di 388 unità registrato nel 2023/24.

Il decremento riguarda soprattutto le scuole primarie e secondarie di secondo grado, che segnano un saldo negativo di 200 iscritti. Seguono le scuole medie con 110 alunni in meno, e la scuola dell’infanzia, che perde 95 iscritti.

Le conseguenze non si fanno attendere: il calo demografico ha portato al taglio di 13 cattedre, riducendo l’organico docente a 2.092 unità complessive, a cui si aggiungono circa 400 insegnanti di sostegno. Resta invece stabile il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata), che conta circa 800 addetti tra primarie e secondarie.

Un quadro che conferma le difficoltà del sistema scolastico polesano, stretto tra crisi demografica e riduzione delle risorse.

Negli ultimi anni la provincia ha visto partire sempre più giovani, soprattutto laureati. Il fenomeno dell’emigrazione giovanile dal Polesine continua a crescere, confermandosi una delle criticità più gravi per il territorio. Ogni anno circa tremila diplomati lasciano le scuole superiori della provincia, ma meno di 800 scelgono di rimanere. Tra chi prosegue gli studi universitari, solo una minoranza torna a vivere stabilmente in provincia dopo la laurea.

Il numero di under 35 che hanno lasciato Rovigo e il Polesine è passato dai 47 casi del 2011 ai 192 del 2024, un incremento costante che evidenzia una tendenza ormai strutturale. Ancora più preoccupante è la composizione di questo esodo: oltre il 61% di chi parte è laureato, segnale che la perdita riguarda in modo particolare giovani con alta formazione.

Il quadro si intreccia con i dati sul lavoro. Nel 2024 il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) ha raggiunto il 15,6%, a fronte di una media regionale del 10,9%. Anche l’indicatore dei cosiddetti Neet – giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano – fotografa una situazione più critica rispetto al resto del Veneto: 17,5% contro una media del 10,5%.

Tra le cause la mancanza di lavoro qualificato, ben retribuito e compatibile con la vita privata. A questo si aggiungono la scarsità di alloggi in affitto e un contesto sociale poco stimolante, che spinge molti a cercare altrove condizioni migliori. Poi ci sono radici storiche: il Polesine resta un territorio rurale, incapace di valorizzare le competenze dei laureati.

Un territorio che si conferma così una delle aree più fragili della regione per quanto riguarda la capacità di trattenere e valorizzare le nuove generazioni. Il suono della campanella ha segnato l’inizio del nuovo anno scolastico, ma dietro l’entusiasmo dei primi giorni si cela un dato che non può passare inosservato: il calo degli studenti. Meno presenze tra i banchi, corridoi più silenziosi, un segnale che riflette i cambiamenti demografici del territorio.

La sfida, ora, è trasformare questa diminuzione in un’occasione di rinnovamento: ripensare il ruolo dell’istruzione e restituire alla scuola quella centralità che da sempre rappresenta il cuore pulsante della comunità polesana.

Sara Busato

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