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Vicenza, Piccolo e Pierobon rendono in modo misurato ed efficace la "banalità del male" della Shoah

Ottavia Piccolo Eichmann 3

Ottavia Piccolo in una scena del lavoro "Eichmann, dove inizia la notte"

Vicenza, a teatro due straordinari interpreti di Hannah Arendt ed Eichmann per un testo di grande valore e una regia accurata

Ottavia Piccolo in una scena del lavoro "Eichmann, dove inizia la notte"
È uno spettacolo imperdibile per molti motivi: il testo di Stefano Massini essenziale, ma allo stesso tempo ricco e profondo; due interpreti padroni della scena, dalla recitazione equilibrata, asciutta, come Ottavia Piccolo e Paolo Pierobon, mai fuori fuoco rispetto ai loro personaggi e mai sopra le righe; una regia misurata, quella di Mauro Avogadro, che trasmette perfettamente il senso di disarmante e orrorifica semplicità che Hannah Arendt volle cogliere quando parlò di “banalità del male” a proposito di Eichmann. Per lei, cronista del processo di Gerusalemme per il New Yorker, quella definizione era il tratto distintivo della personalità di Adolf Eichmann e di tutti coloro che collaborarono allo sterminio nazista: non era una scelta di furore omicida portato a livelli di annientamento totale, una Shoah appunto, bensì il frutto di una “incoscienza”, di un’inconsapevolezza di quanto si sta operando, dell’incapacità di mettersi nei panni dell’altro. Come se il gerarca Eichmann e quelli che sono stati definiti “i volenterosi carnefici di Hitler” si fossero autoesclusi dalla comunità umana, non fossero capaci di avere empatia con i propri simili né di condividerne alcun valore. Pensavano al piccolo tornaconto personale.
Ottavia Piccolo e Paolo Pierobon nei panni di Hannah Arendt e Adolf Eichmann
È una sentenza perfino più straniante per chi è abituato a pensare al nazismo e ai campi di sterminio come “il male assoluto”, frutto di una ferocia satanica. No, quei criminali erano persone normali, come potremmo incrociarne tante per strada. E' un'opposizione teoricamente irrisolvibile tra la vastità del crimine e la piccolezza dell’autore, ma proprio per questo, come ha notato Michal Aharony di recente che nel 1961, quando la Arendt scrive le sue cronache e nel 1963, quando esce il suo libro, la sua tesi le provocò critiche pesantissime dagli stessi ebrei, al punto che il suo libro (anzi i suoi libri) sono stati pubblicati in Israele solo da vent’anni a questa parte. Nel lavoro di Massini e nella resa teatrale dello spettacolo Eichmann, dove inizia la notte questa dimensione – innovativa e perciò non compresa dagli israeliani che boicottarono apertamente la Arendt per decenni – si coglie perfettamente. I due attori sul palco, Pierobon-Eichmann a condurre spesso il dialogo, Piccolo-Arendt a rispondere e incalzare, mettono in luce questa novità con grande intensità e pacata fermezza. Siamo di fronte a due interpreti di grande livello che in un’ora e venti illuminano quesiti fondamentali della condizione umana. Non è solo la mancanza di etica, infatti, che scava un abisso di umanità tra le vittime e i carnefici. È l’idea che il male sia un lavoro quotidiano, che i campi di sterminio siano frutto di “assassini di scrivania” che è sconvolgente. In fondo Eichmann era solo un tenente delle SS, arruolatosi per caso, che non aveva mai letto un libro, tantomeno Mein Kampf, che smaniava per una promozione e si occupava di trasporti ferroviari e di liste, non sopportava vedere due capre morte negli esperimenti che avrebbero portato alle camere a gas e sognava di appendere in ufficio una foto con Hitler.
Ottavia Piccolo e Paolo Pierobon in un'altra scena del lavoro di cui è regista Mauro Avogadro
È questa “banalità del male” (concetto che non viene mai chiamato così nello spettacolo) un atteggiamento sempre in agguato quando si parla di guerre e di crimini associati ai conflitti. Ma, con tutti i distinguo del caso, non solo in casi estremi. Accade spesso quando si invoca la ragionevolezza, la comprensione, la necessità di non rifiutarsi “perché se non lo faccio ci sarà qualcun altro a farlo” e allora è meglio che lo faccia io e ci guadagni pure qualcosa. Anch’io tengo famiglia. Arendt ha ribaltato l’aspettativa facendo capire che il male è nascosto in tutti noi, pronto a saltare fuori senza tanto rumore, magari travestito da buon senso. E proprio in nome dello spirito pratico, come pretende Eichmann, si dovrebbe perfino ringraziarlo: è vero, spiega, che due ebrei su tre sono morti uccisi dal lavoro nelle fabbriche disumane degli industriali schiavisti, ma – insomma – una possibilità su tre di sopravvivere l’hanno avuta. Il quartetto Massini, Avogadro, Piccolo e Pierobon ha allestito un lavoro vincente, appassionante, mai pesante (nonostante il tema) né aggressivo. Non era facile. Vivissimi applausi al comunale. Repliche da domani a Venezia per tre giorni, poi Locarno, Treviso e Trento. Merita di essere rivisto, credetemi. (a. d. l.)
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