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SANITA'
10.10.2025 - 17:31
Una rappresentanza del comitato MAMME NO PFAS davanti al tribunale di Vicenza
Con quasi dieci anni di ritardo - se ne parla almeno dal 2016 - la Regione Veneto ha annunciato da appena qualche giorno l’avvio dello studio epidemiologico retrospettivo sulla popolazione esposta alla contaminazione da PFAS. L’indagine partirà nell’area dell’ULSS 8 Berica (Vicenza), ma esclude le province di Padova e Verona, anch’esse ricomprese nell’Area Rossa di massima contaminazione.
Una decisione che solleva critiche e preoccupazioni. In prima linea, ancora una volta, il gruppo Mamme NO PFAS, che rivolge un appello alla Regione: allargare l’ambito geografico dello studio, garantire trasparenza e coinvolgere attivamente la cittadinanza.
"Lo studio epidemiologico era stato già previsto nel 2016, ma non è mai stato avviato. Oggi, a distanza di quasi dieci anni, la Regione giustifica il ritardo con la mancata disponibilità di fondi, recuperati solo ora, alla fine della legislatura" sottolineano in un comunicato ufficiale le Mamme NO PFAS. "Nel frattempo si è perso tempo prezioso per la prevenzione. Se l’indagine fosse stata avviata nei tempi previsti, la popolazione avrebbe già potuto beneficiare di dati utili per la tutela della salute". “Lo studio dunque era pronto a partire anni fa. Le istituzioni hanno scelto di ignorare le richieste dei cittadini,” denunciano le attiviste.
Una delle principali criticità riguarda l’ambito territoriale. L’indagine sarà circoscritta all’ULSS 8 Berica, escludendo intere zone contaminate nelle province di Verona e Padova.
Una scelta giudicata scientificamente infondata e politicamente miope: la contaminazione da PFAS segue le vie delle acque, non i confini amministrativi. E proprio su tutta l’Area Rossa, uno studio precedente aveva rilevato un eccesso di circa 4.000 morti tra il 1985 e il 2018, con correlazioni evidenti con patologie cardiovascolari e oncologiche.
“Il danno ambientale non si ferma a Vicenza. Tutti i cittadini esposti hanno diritto alla verità,” affermano le Mamme NO PFAS.
Altro punto critico: l’assenza totale di coinvolgimento pubblico. Nel comunicato regionale non si fa cenno alla partecipazione delle associazioni, dei comitati, né dei cittadini che da anni lavorano per sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere dati.
Le Mamme NO PFAS chiedono:
“Non vogliamo uno studio che sia chiuso nei palazzi. Vogliamo uno studio aperto, trasparente, credibile. Vogliamo partecipare.”
Già nel 2020, la Regione aveva valutato la possibilità di uno studio epidemiologico partecipato (Delibera n. 1402 del 23 settembre). Perché oggi quella strada non viene percorsa?
Di fronte a una situazione che rischia di produrre risultati parziali e poco utili, le Mamme NO PFAS rivolgono un appello chiaro: "Vogliamo estendere lo studio a tutte le province dell’Area Rossa (Vicenza, Padova e Verona) e non solo all'Ulss Berica; intendiamo garantire trasparenza assoluta sulle metodologie e sui dati; coinvolgere cittadini e associazioni nella gestione dello studio e istituire un coordinamento scientifico con monitoraggio indipendente" spiegano le portavoci in un comunicato stampa.
Inoltre, chiedono un incontro urgente con i rappresentanti regionali per discutere direttamente le modalità di svolgimento dello studio e garantire che nessuno resti escluso.
Lo studio arriva a quattro mesi dalla sentenza sul caso Miteni, emessa lo scorso giugno dalla corte d’assise di Vicenza, che ha chiuso uno dei più grandi processi ambientali in Italia. Al centro del procedimento - è utile ricordarlo - l’inquinamento massiccio di acque di falda, superficiali e potabili in una vasta area del Veneto, causato dagli scarichi industriali della fabbrica chimica Miteni di Trissino (Vicenza), principale fonte della contaminazione da sostanze perfluoroalchiliche (PFAS). Il processo si è concluso con undici condanne e quattro assoluzioni, per un totale di 141 anni di reclusione.
L’avvio dello studio epidemiologico rappresenta ancor più un passo atteso e necessario,soprattutto alla luce di questa conclusione processuale. Ma se l’indagine nasce ristretta nel territorio, chiusa alla cittadinanza e senza la piena trasparenza, rischia di essere una mezza risposta a un problema enorme.
“Non possiamo permettere che uno studio fondamentale per la salute dei nostri figli e della nostra terra parta già viziato,” concludono le Mamme NO PFAS.
La credibilità delle istituzioni si misura anche su questo: dare voce a chi da anni chiede verità, giustizia e salute.
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