Il poeta Trilussa, al secolo Carlo Alberto Salustri, lodò le poesie di Mario Zanella, vicentino a Roma
Mario Zanella era un vicentino trasferitosi a Roma che scriveva in dialetto veneto sulla sua città
Il professor Italo Francesco Baldo, già docente al liceo "Pigafetta" in questo articolo racconta di un curioso Zanella
Italo Francesco Baldo, docente al “Pigafetta”, com’è noto è un grande studioso, probabilmente il maggiore tra i contemporanei, di Giacomo Zanella. E ha trovato una notizia curiosa che riguarda un Zanella omonimo, Mario, vissuto nel Novecento ma a Roma. Era poeta come lui, e in dialetto vicentino ricordava la sua Vicenza. Le sue poesie furono lette a Trilussa, il grande poeta romano, che non lesinò gli apprezzamenti. Ecco il testo del professor Baldo che racconta di quell’incontro e del Mario poeta dialettale. Tra i tanti omonimi del poeta Giacomo Zanella, merita una particolare attenzione il vicentino Mario Zanella, che si traferì con la famiglia a Roma e in quella città poetò per la propria patria di origine nel suo vernacolo.
Il libro di Mario Zanella, pubblicato nel 1935, intitolato "El me cantare"
Di lui non si conosce molto, ma è autore di una simpatica silloge: El me cantare. (Versi in dialetto vicentino), Vicenza, Tipografia Commerciale Editrice, 1935. Il volume ebbe nel 1934, evidentemente le poesie gli erano state mostrate in anteprima, l’apprezzamento di Trilussa, il grande poeta che in romanesco ben satireggiava. Carlo Alberto Salustri (questo il suo vero nome, che aveva anagrammato nel nome d’arte) scrisse del poeta vicentino: “Le ripeto volentieri con sincera cordialità che serberò un simpatico ricordo della sua rapida ma efficace lettura. I suoi versi, nella loro semplicità, appaiono spontanei e pieni di calore: non è poco. Attendo una delle prima copie del volume. Simpaticamente. Trilussa”.
Lo Zanella romano cercava anche scherzosamente una parentela con il poeta più noto
Con il grande ricordo della propria città, Mario Zanella così presentò il suo volume: “Così permetti, Vicenza mia, che, senza comparirti innanzi nella suggestiva sala del nostro Olimpico, ma da un piccolo angolo di via Nomentana, ti offra ancora una volta la mia umile voce che ha soltanto il compito di dirti tutto il bene e tutta la grande devozione che sento e che sentirò sempre per te”. Roma, Aprile 1935-XIII.
Il poeta Trilussa, al secolo Carlo Alberto Salustri, lodò le poesie di Mario Zanella, vicentino a Roma
In questo autore, di un'unica silloge traspare il ricordo anche di San Roco, così la chiamava in dialetto, una frazione di Arcugnano, di Villabalzana della strada di Santa Lussia, ma anche tanti sentimenti: la dolcezza di una ninna-nanna, la giovinezza quando sul Lago di Fimon di poco ci si accontentava, ma la bella età bastava, rispetto alla vecchiezza di cui la detestata soglia evitar non si può. Così tra una rima e l’altra sempre nel caro dialetto vicentino Mario Zanella, ecco ricordare ne La vena poetica (pp.66-67) una corrispondenza con “el cantor de l’Asteghelo”, e, con chiosa ironica, cerca quasi una parentela con Giacomo Zanella. (Italo Francesco Baldo)La vena poetica El cognome mio xe belo, invidià da tanta zente… El cantor de l’’Asteghelo Ch’el sia forse un me parente? Digo questo perché un verso Scrivo ancora a tempo perso. Qualche volta mi me sento nel zervelo ‘na robeta, una spezie de tormento che lo prova ogni pöeta: Calamaro, carta e pena Tuto pronto per la vena. Eco fato ‘na sestina De sie versi marteliani, go parlà co’ la me Nina de sti nostri duri ani, e così, co’ l’estro bon butà zò go ‘na canzon. El me màntese sta in zima Dove nasse ogni pensiero, po’vizin ghe xe la lima e altri feri del mestiero: l’ofezina xe la testa che lavora pur de festa. El cognome mio xe belo E mi insisto a lavorare… El cantor del’Asteghelo Ch’el sia un nono de me pare? La domanda me fa pena, ma però mi go la vena. Da un bel toco son qua in leto Con ‘na gamba ligà streta. El dotor, che sa el segreto, el me ciama: sior pöeta!... Finalmente, cara tosa, go la…vena varicosa.
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