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Qualche pregiudizio da abbattere su tasse, lavoratori autonomi e dipendenti

Tasse vignetta

Secondo i dati, tre milioni e mezzo di dipendenti svolge un doppio lavoro, spesso in nero

Giuseppe de Concini, consulente d'impresa con esperienza trentennale
I pregiudizi sono duri a morire. Sia quelli benevoli sia quelli che celano anche quel tanto di disprezzo ideologico verso l’avversario o ciò che si suppone essere un avversario. In una recente intervista l’ex ministro delle finanze Visco ha definito isterici e sfigati gli esercenti e i ristoratori che, annichiliti dalla crisi, protestavano contro le chiusure protratte e i cosiddetti “ristori” che sono, oggettivamente, una pagliacciata. È la solita vecchia storia: per una parte di opinione pubblica i “dipendenti” (massimamente quelli pubblici) sono gli unici cittadini integerrimi che pagano le tasse fino all’ultimo centesimo, mentre dall’altra parte partite Iva, artigiani, commercianti e imprenditori sono una massa di evasori o elusori fiscali. Dunque, si dice, che vogliono costoro? Sono in crisi? Si arrangino un po’: hanno evaso ed eluso le tasse per tanti anni e adesso lo Stato (cioè tutti noi) dovrebbe soccorrerli? In un’epoca come questa, affermazioni di questo tipo scavano solchi anziché colmare fossati come richiesto più volte dal Presidente Mattarella. Tralasciamo, per amor di brevità, un focus sul tipo di sostegno dato in questo Paese (e benedetto da Visco) a grandi aziende che per decenni hanno “privatizzato gli utili, socializzando le perdite” e che da ultimo hanno trasferito le sedi fiscali in altri Paesi per non pagare le tasse nel paese che le ha aiutate in modo massiccio. Verifichiamo semplicemente i dati: è proprio vero che un dipendente sia sempre integerrimo? La massa di coloro che, espletate le proprie mansioni di dipendente, s’inventa un doppio o un triplo lavoro ha raggiunto cifre imponenti: i dati forniti dagli studiosi e riportati dalla stampa (con riguardo al corposo saggio di Emilio Reyneri dal titoloSociologia del mercato del lavoropubblicato da Il Mulino nel 2017) parlano di oltre tre milioni e mezzo di persone che, legittimamente aggiungiamo, cercano di arrotondare il proprio stipendio (la cui dinamica spesso è assente o compressa da tempo) lavorando nelle ore a disposizione della giornata o nel fine settimana. Le ragioni di questo fenomeno? Da un lato lo svilimento dei ruoli impiegatizi, le dinamiche salariali sterilizzate, le esigenze sempre maggiori di una vita troppo cara per il pubblico dipendente. Dall’altro l’applicazione sempre più estesa di forme contratto precarie o limitate (part-time, turnazioni, contratti a chiamata, ecc.) per il dipendente privato. Un’aliquota notevole di questi doppi lavori viene svolta in nero. Con un saluto cordiale all’integrità tanto sbandierata di quei soggetti.  E ciò sia detto senza alcuna nuance di tipo etico. D’altra parte ci sono sicuramente nel mondo delle libere professioni, dell’artigianato e del commercio o in quello degli imprenditori atteggiamenti di scarsa compliance fiscale ma esiste un’aliquota non trascurabile di quei mondi che paga regolarmente il dovuto e si attiene con orgoglio alle regole date dallo Stato (fin che può). Come si vede i pregiudizi sono – per l’appunto – false rappresentazioni, generalizzazioni fallaci, che stanno fuori da una pacata e serena analisi, stanno fuori e “prima” del giudizio. Di certo non aiutano i giovani (il conclamato futuro di questo Paese) a rischiare in proprio per inverare le proprie intuizioni divenendo, con formula abusata, imprenditori di se stessi; anzi li spingono alla ricerca di un’occupazione meno esaltante ma molto meno rischiosa; oppure, come accade normalmente, a fuggirsene all’estero. A noi resta, monolitico, il pregiudizio. Si dirà: mentre gli uni (i dipendenti) per la forma stessa della tassazione (trattenuta alla fonte da parte di un sostituto d’imposta) sono tendenzialmente dei contribuenti fedeli, gli altri (partite Iva, commercianti, artigiani e imprenditori) hanno la possibilità tendenziale di non essere fedeli. Mi sembra che tale affermazione (che, come visto, non risulta vera in assoluto) sia quantomeno simile nella logica a quella secondo la quale un qualsiasi maschio potrebbe essere definito uno stupratore per il solo fatto di “possedere un’attrezzatura adatta a compiere il reato citato”. (Giuseppe de Concini)
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