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30.06.2021 - 14:16
I rappresetnanti sindacali vicentini dal Prefetto di Vicenza
Con l’obbligo di esternalizzare almeno l’80% delle attività in concessione con importo superiore ai 150.000 euro sono a rischio la qualità di servizi pubblici fondamentali e tra i 10.000 e i 20.000 posti di lavoro solo in Veneto. Lo sottolineano le segreterie regionali di FILCTEM CGIL, FEMCA CISL, FLAEI CISL, UILTEC UIL e poi FP CGIL, FIT CISL e UILTRASPORTI.
A Vicenza il presidio si è svolto in contrà Gazzolle davanti alla Prefettura e una delegazione sindacale della triplice è salita ad illustrare la posizione al rappresentante del Governo.
L’art. 177 del Codice degli Appalti richiede l’esternalizzazione di almeno l’80% delle attività in concessione con importo superiore ai 150 mila euro, anche qualora l’attività dovesse essere svolta da personale proprio di impresa. Tale provvedimento provocherà, indubbiamente, nel breve e medio termine - sostengono i sindacati -, la demolizione del sistema dei servizi pubblici essenziali, oltre alla perdita di oltre 150.000 posti di lavoro.
I sindacati esprimono perplessità per un primo fondamentale elemento di poca chiarezza, che collide con le stesse regole di sistema del Paese, e che riguarda l’applicazione di questo articolo ai concessionari di forniture e/o di servizi pubblici.
Il legislatore ha già assoggettato queste imprese a un sistema regolatorio garantito dalle Autorità indipendenti, che hanno l’esplicito mandato di tutelare gli utenti da potenziali pratiche monopolistiche, imponendo – contestualmente - la qualità minima dei servizi erogati, e perseguendo meccanismi di equilibrio economico-finanziario dei competitors.
Appaiono molto chiari i rischi concreti di questa scelta, in primis gli inevitabili effetti implosivi sui sistemi dei servizi essenziali.
L’esternalizzazione forzata delle attività renderà vulnerabili i sistemi dei servizi, rischiando di consegnarli nelle mani di mercati esterni e di scontati appetiti, ribaltando il senso originale dell’affidamento in concessione e tramutando di fatto gli attuali affidatari in mere stazioni appaltanti.
E’ una norma pericolosa che arrecherà danno alle lavoratrici, ai lavoratori, alle aziende, alle cittadine, ai cittadini e al programma di sviluppo infrastrutturale del nostro Paese.
Avrà come conseguenza diretta il blocco degli investimenti societari, con ricadute pesanti sulla qualità dei servizi, sullo sviluppo infrastrutturale delle reti elettriche e del gas, con impatti gravi per la sicurezza sul lavoro e le manutenzioni delle infrastrutture stesse.
Inoltre comprometterà la realizzazione del piano di investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, specie per quella parte riguardante lo sviluppo degli impianti di generazione rinnovabile, che necessitano di forti interventi di ammodernamento delle reti di distribuzione e soprattutto di una loro gestione sinergica, in grado di bilanciare in tempo reale la domanda e l’offerta di energia.
"Infatti - affermano le segreterie regionali delle sette sigle sindacali di Cgil Cisl Uil -, oltre che incomprensibile, riteniamo anche inaccettabile l’immobilismo a cui assistiamo, a fronte del giudizio di illegittimità costituzionale già sollevato dal Consiglio di Stato sulla questione".
"Non si comprende inoltre l’attuale silenzio del Governo e delle Istituzioni di fronte alla previsione concreta della perdita di decine di migliaia di posti di lavoro, del ricorso estremo alle esternalizzazioni e alle cessioni di rami d’impresa, del dumping contrattuale e sociale, della contrattazione compressa a livelli infimi, della perdita irrecuperabile di elevate e specifiche competenze di settore, della rincorsa ad appalti al massimo ribasso, del ricorso agli ammortizzatori sociali in un paese già largamente provato dalla carestia di posti di lavoro e dal dissesto indotto dalla pandemia nel corso dell’ultimo anno".
"Senza dimenticare le ineluttabili conseguenze per la salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori, ricordando che l’80% degli infortuni nel settore è legato alle imprese già oggi in appalto".
E ricordiamo che si tratta di settori che, solo per citare l’ultima fase storica, sono stati fondamentali per superare l’emergenza pandemica, garantendo la fornitura energetica ai servizi assistenziali e produttivi di tutto il Paese.
"Si tratta di una norma che risponde più a interessi di parti manifeste - proseguono i sindacati nella nota -, prediligendo disfunzionali logiche concorrenziali, a dispetto dell’interesse pubblico generale, dei concreti bisogni del Paese, della qualità e della salvaguardia dei servizi pubblici essenziali".
Nell’esprimere la preoccupazione e la rabbia delle lavoratrici e dei lavoratori, i sindacati di categoria e le confederazioni (che sostengono fino in fondo lo sciopero, essendo in gioco servizi fondamentali per la qualità della vita dei cittadini e per la prospettiva industriale dell’Italia, oltre a tantissimi posti di lavoro), chiedono:
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