E' calato oggi il sipario sull’“Italia delle Regioni”, la manifestazione ospitata nella città lagunare che, per tre giorni, ha riunito governatori, ministri e rappresentanti istituzionali per confrontarsi su sanità, servizi pubblici, sviluppo territoriale, energia, dazi e – soprattutto – autonomia. Proprio quest’ultimo tema ha infiammato i toni nelle battute finali dell’evento, trasformandosi da tema tecnico a vero e proprio nodo politico.
Il presidente del Veneto Luca Zaia è tornato con forza sulla questione del terzo mandato per il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, una legge locale recentemente impugnata dal governo nazionale. A eccezione della Lega, che si è opposta formalmente alla decisione, la mossa dell’esecutivo ha generato non pochi malumori nella maggioranza. L’assenza della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, giustificata da indisposizione, ha fatto mormorare qualcuno di “malattia diplomatica”, un defilarsi strategico in un momento scomodo. Ma Zaia getta acqua sul fuoco: «Non è un’assenza politica. Ho un ottimo rapporto con la presidente, la stimo molto. Sarà stato solo un problema fisico».
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Sul piano del diritto, il governatore veneto ha richiamato la giurisprudenza della Corte costituzionale, che nella sentenza sulla Campania ha tracciato un confine netto: le Regioni a statuto ordinario non possono superare i due mandati, ma quelle a statuto speciale – come Trento e Bolzano – possono decidere autonomamente. «Non è una battaglia politica, ma una questione di principio giuridico», ha affermato con decisione, aggiungendo che «se si rispetta la Costituzione, la legge trentina non può che essere confermata».
La questione, però, va oltre il profilo tecnico. Matteo Salvini ha definito la vicenda “locale”, ma Zaia non ci sta: «Sta diventando un problema nazionale, perché tocca i nervi scoperti della nostra Repubblica autonoma e decentrata». Il riferimento è anche all’articolo 5 della Costituzione, citato anche dal presidente Sergio Mattarella nel suo intervento: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”.
Proprio Mattarella, secondo Zaia, ha ribadito con equilibrio il punto centrale: promuovere le autonomie senza minare l’unità nazionale, in particolare su temi cruciali come la sanità. «Il presidente è garante della Costituzione, e noi oggi dobbiamo solo applicarla. Siamo in una fase in cui non si può più rinviare l’attuazione dell’autonomia differenziata», ha detto Zaia, rilanciando anche il dibattito sui LEP (Livelli Essenziali di Prestazione), definiti come “strumento di civiltà per combattere le disuguaglianze” più che come accessori dell’autonomia.
«Nel nostro Paese un bambino può sapere che futuro avrà in base al luogo in cui nasce. Questo è inaccettabile. I LEP servono prima di tutto a sanare queste ingiustizie», ha detto il presidente, ricordando che l’inserimento dei LEP nella legge finanziaria 2023 è stato un passo fondamentale.
Nel frattempo, continuano le trattative su materie non-LEP: si è partiti con la protezione civile, per cui esiste già una bozza di intesa con il governo. Segnale che, malgrado le tensioni, il dialogo tra Regioni ed esecutivo resta vivo e operativo.
Chi vede nell’“Italia delle Regioni” un festival delle divisioni, secondo Zaia, sbaglia prospettiva. «Tutti i governatori votano all’unanimità, da destra a sinistra. C’è uno spirito di squadra che si è visto chiaramente. Non siamo qui per complicare le cose, ma per risolverle, come abbiamo dimostrato durante il Covid».
La giornata conclusiva ha visto la partecipazione dei ministri Piantedosi, Zangrillo e altri membri del governo. Nessuna “resa dei conti”, piuttosto uno scambio proattivo, con lo sguardo rivolto a una nuova fase del regionalismo italiano.
Nel saluto finale, Zaia ha parlato di un’Italia «in una fase di Rinascimento», ben visibile anche nel ruolo internazionale che il Paese sta tornando a giocare. Un’immagine ottimista, nonostante le frizioni, che lascia aperto il cantiere più complesso della politica italiana contemporanea: dare forma concreta all’autonomia, senza spezzare l’equilibrio tra centro e territori.