martedì, 19 Marzo 2024
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Quando lo Stato paga il processo al cittadino non abbiente

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Istefania martin avvocatol c.d. “patrocinio a spese dello Stato” consente ai cittadini non abbienti, al fine di essere rappresentati in giudizio sia per agire che per difendersi, di nominare un avvocato e farsi assistere a spese dello Stato: ciò significa che non vi saranno costi da anticipare per il processo (contributo unificato, marche da bollo) e che l’avvocato sarà pagato, con una particolare liquidazione che comporta per solito il dimezzamento degli onorari, direttamente dallo Stato.

L’istituto del patrocinio a spese dello Stato vale nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario ed anche nelle procedure di volontaria giurisdizione (separazioni consensuali, divorzi congiunti etc.) ed altresì nel processo penale. E’ possibile dunque, per i nuclei familiari “non abbienti” presentare una domanda al Consiglio dell’Ordine Consiglio dell’Ordine degli Avvocati presso il Tribunale ove si intende interporre la causa. Nel caso della difesa penale, la domanda è invece presentata direttamente al Giudice. Anche nel caso di contestazioni di carattere tributario, cioè nel caso in cui il cittadino o l’imprenditore (che non sia però una società) voglia presentare ricorso avverso un atto dell’Agenzia delle Entrate o di Equitalia e non abbia disponibilità economiche, può chiedere ed ottenere l’ammissione da una apposita commissione che è presente presso la Commissione tributaria provinciale.

Condizione per essere ammessi al patrocinio a spese dello stato è quella di essere titolari di un reddito annuo imponibile, secondo l’ultima dichiarazione dei redditi, non superiore a euro 11.528,41, limite che viene aggiornato dal Ministero periodicamente secondo gli adeguamenti ISTAT. L’importo è formato dalla somma dei redditi imponibili IRPEF percepiti da tutti i componenti il nucleo familiare del richiedente, ivi inclusi i conviventi di fatto. Sono da sommare anche i redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte od a imposta sostitutiva ed anche, si badi, gli eventuali aiuti provenienti da terzi non conviventi: insomma, per accedere a questo beneficio è stato adottato un criterio estremamente ampio, includendo nel novero dei proventi da conteggiare anche somme che non sono in sé reddituali.

Nel caso di controversia nei confronti di un familiare convivente il reddito di quest’ultimo non è da considerare nel cumulo dei redditi. Nel caso di controversia relativa a diritti della personalità si considera il solo reddito dell’istante. Da tener presente che, per l’ammissione al presente beneficio, non sono utilizzabili i dati dell’ISEE che viene presentato per altre ipotesi: il cittadino non deve procurarsi alcun certificato ma dichiarare il proprio reddito con una dichiarazione “sostitutiva di certificazione”, cioè deve provvedere, con la massima cura, al calcolo e deve dichiararlo assumendosi la responsabilità, anche penale, di quanto così attestato.

 

Avv. Stefania Martin, tel. 049 777073

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