domenica, 28 Aprile 2024
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Femminicidio di Riese, l’omicida progettava la fuga

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Per la Procura aveva premeditato il delitto e ha tentato di depistare le indagini, annunciando con una telefonata di volersi costituire

Prima l’aggressione violenta e pianificata. Poi il depistaggio, per guadagnare tempo e far perdere le proprie tracce. Bujar Fandaj, il 41enne kosovaro, accusato dell’omicidio diella 26enne Vanessa Ballan, con ogni probabilità si preparava a fuggire, magari nel suo paese d’origine, quando è stato arrestato dai Carabinieri nella tarda serata di ieri, lunedì, poche ore dopo il delitto.

All’indomani del fermo, è il procuratore capo di Treviso, Marco Martani a ricostruire la vicenda. L’uomo si è presentato a casa della vittima, a Spineda di Riese Pio X, con cui aveva avuto una relazione, poco prima di mezzogiorno: alle 11.21 Vanessa ha risposto a un messaggio del compagno, Nicola Scapinello, in quel momento al lavoro, poi un successivo messaggio alle 11.47 non è stato nemmeno visualizzato. In quel lasso di tempo, dunque si colloca l’uccisione. Una telecamera di videosorveglianza della casa di Vanessa ha ripreso un uomo mentre scavalca la recinzione esterna: il volto non è identificabile, ma i vestiti indossati e il borsone corrispondono a quelli poi sequestrati in casa di Fandaj.

La ricostruzione dell’omicidio

L’immigrato ha sfondato una porta finestra con un martello, con il logo della sua piccola ditta di pitture edili “Sette Color”, poi ritrovato sulla scena del crimine. Dopo aver colpito Vanessa al volto con svariati pugni, le ha sferrato sette coltellate al torace con un coltello da cucina che aveva portato con sé. L’utensile, ritrovato anch’esso nel lavello dell’abitazione, presenta sul manico delle particolari striature, identiche a quelle di altri coltelli rinvenuti sempre nell’alloggio del presunto omicida, mentre la vittima e il compagno non ne possedevano di simili. Inoltre l’uomo ha un taglio tra il pollice e l’indice della mano destra compatibili con l’aver inferto delle coltellate.

Il 41enne si è poi allontanato in bicicletta, con la quale era arrivato sul posto: il suo domicilio dista circa due chilometri da quello di Vanessa e probabilmente così poteva essere meno riconoscibile rispetto. Tutti questi elementi, secondo gli inquirenti, non solo costituiscono un chiaro quadro di colpevolezza a carico di Fandaj, ma fanno anche propendere la Procura per la premeditazione. L’imputazione è di omicidio, con quattro aggravanti: appunto la premeditazione, il pregresso legame sentimentale, l’aver perseguitato in precedenza la vittima, il fatto che la vittima era incinta. Se riconosciuta, l’ipotesi accusatoria comporterebbe la pena dell’ergastolo, senza possibilità di rito abbreviato.

La chiamata al 112: “Ho fatto una brutta cosa”

Nel pomeriggio, Fandaj è stato visto in un bar di San Vito Altivole. In serata ha effettuato una chiamata al 112, da un telefonino senza scheda sim: in questo modo, è possibile telefonare a numeri di emergenza, ma l’utente non può essere localizzato. Le sue parole “Ho fatto una brutta cosa” suonano, per la Procura, come un’ammissione di colpa. Poi ha affermato di volersi costituire nella stazione dei Carabinieri la mattina successiva. Particolare, però, non veritiero secondo gli inquirenti: ha detto infatti di trovarsi in un luogo diverso da dov’era in realtà e poco più tardi è rientrato nella sua casa. I militari dell’Arma, che sorvegliavano l’area in borghese, sono intervenuti e l’hanno bloccato. Il kosovaro si era fatto la doccia, cambiandosi i vestiti sporchi di sangue, e aveva preparato il passaporto.

Ora è recluso nel carcere di Treviso, nelle prossime ore sarà fissato l’interrogatorio di garanzia e entro la settimana dovrebbe essere eseguita anche l’autopsia.

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