Il concetto di prendersi cura fa parte della sensibilità comune, ma sicuramente in alcuni soggetti particolari questa predisposizione deve essere coltivata, proprio come si fa con una pianta. E’ da questo concetto che prende il via il progetto “Adotta una pianta” promosso dall’unità Disabilità dell’azienda sanitaria Ulss 19, che ha contribuito in maniera determinante alla nascita del “Giardino di Igea” all’interno dell’ospedale di Adria. “Si tratta di un progetto particolare - si legge nella nota ufficiale dell’azienda sanitaria - nato come intervento metodologico già utilizzato nel progetto di ortoterapia Elicriso, dove coltivare la terra, realizzare un giardino, curare le piante, diventa una terapia che permette al paziente un approccio diverso dalla cura, avvalendosi di precise evidenze scientifiche, tenendo conto però di elementi semplici e legati alla quotidianità della persona. Questi ragazzi infatti, seguiti in un percorso terapeutico-riabilitativo si stanno occupando di un giardino interno creato da loro con aiuole di fiori di varie dimensioni e della semina dell’erba”. Un esperimento che pare già avere dato riscontri perfettamente in linea con le aspettative degli organizzatori. “Visti gli ottimi risultati raggiunti - spiegano infatti i referenti dell’azienda sanitaria di Adria e del Basso Polesine - si è pensato di estendere l’attività del ‘prendersi cura’ anche alle piante ornamentali poste nei vari punti dell’ospedale, in modo così da rendere gradevoli le aree di passaggio”. Le piante hanno ovviamente bisogno di piccole cure: di essere annaffiate, fertilizzate, pulite nelle foglie: piccoli gesti di tenerezza, di attenzione di sensibilità che danno soddisfazione a chi se ne occupa e beneficio per chi le ammira. Tutto questo succede per 3 giorni la settimana, con silenziosa dedizione; per una volta i ruoli si ribaltano: chi comunemente è curato a sua volta si prende cura di qualcos’altro. Chi vive la diversità e la fragilità della sua condizione può cosi assumere un ruolo come protagonista e potenziare la sua identità. Gli operatori che affiancano i pazienti durante parte dell’attività hanno definito per loro obiettivi e metodologie che prevedono l’attenzione verso l’altro, la consapevolezza, l’impegno e il guardare alle cose con consapevolezza e sensibilità. “Il termine ‘cura”’ - chiude l’Ulss - in latino infatti richiama l’idea della premura e quindi della responsabilità come compito di rispettare le diversità; attraverso questo progetto quindi si attua la più completa integrazione, inclusione dell’essere-con, cambiando in meglio la vita di ciascuno”. L’idea è insomma quella, per una volta, del ribaltamento dei ruoli. Chi abitualmente - e giustamente - solitamente è oggetto di cure con questo progetto diviene in determinate circostanze erogatore di cure. In questo modo acquista maggiore consapevolezza di sé e delle proprie potenzialità. Un passo senza dubbio molto importante e di grande valore nel trattamento di determinate problematiche. I primi riscontri positivi ottenuti dall’esperimento hanno convinto gli organizzatori di essere sulla buona strada: tanto che, come detto, si pensa già ad allargare l’iniziativa. di Martina Celegato
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