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Mercato europeo del lavoro, a spingere i giovani all'estero è la questione salariale

In un report di febbraio 2023, l’ISTAT rileva che tra il 2012 ed il 2021, è espatriato dall’Italia oltre 1 milione di residenti, di cui circa un quarto in possesso di laurea

Per il 2020, Eurostat calcolava in 7 milioni i salariati insediati e attivi in un paese UE diverso da quello d’origine, il 3,4% della forza-lavoro del continente. Negli ultimi dieci anni, i giovani italiani che hanno trasferito all’estero la residenza sono costantemente aumentati, mentre molto meno numerosi sono i rientri in patria. In un report di febbraio 2023, l’ISTAT rileva che tra il 2012 ed il 2021, è espatriato dall’Italia oltre 1 milione di residenti, di cui circa un quarto in possesso di laurea. Sono circa 337mila i giovani espatriati di 25-34 anni, di essi oltre 120 mila al momento della partenza erano in possesso della laurea. D’altro canto, i rimpatri di giovani della stessa fascia d’età sono circa 94mila nell’intero periodo 2012-2021, di cui oltre 41mila in possesso della laurea: la differenza tra i rimpatri e gli espatri dei giovani laureati è costantemente negativa e restituisce una perdita complessiva per l’intero periodo di oltre 79mila giovani laureati. Nel 2021 si osserva per la prima volta una battuta d’arresto del flusso dei giovani laureati verso l’estero dovuto al calo generalizzato degli espatri. Infatti, con riferimento ai giovani adulti tra i 25 e i 34 anni, la diminuzione degli espatri nel 2021 rispetto al 2020 ha ridotto l’emigrazione giovanile del 21% e, in misura proporzionale, è calato anche il numero dei laureati espatriati nella stessa fascia di età (14mila, -21% rispetto al 2020). Non si è ridotta, invece, la quota dei laureati sul totale dei giovani espatriati che è rimasta stabile (dal 45,6% del 2020 al 45,7% del 2021). Il calo dei giovani espatriati laureati da un lato e l’aumento dei rimpatri dello stesso contingente dall’altro (oltre 7mila, +29% sul 2020) determina il saldo migratorio più basso registrato negli ultimi sei anni, che si traduce in una perdita che non supera le 7mila unità. Rispetto all’emigrazione, giunge nella nostra penisola un numero di giovani nettamente inferiore, circa uno su tre. Ad ogni modo, due terzi di chi ricerca lavori all’estero non ha titoli di studio elevati, il fenomeno riguarda quindi lavoratori a differente livello di qualificazione. Tra questi, a fronte di un milione e 24 mila trasferiti, 443 mila sono rientrati. Non si può parlare di una “fuga di cervelli” poiché, rispetto al fenomeno migratorio generale, i laureati tra i 25 e 34 anni non superano il 28%. Al tempo stesso, tuttavia, non si arresta la corsa ai talenti in un panorama come quello del mercato europeo in cui la carenza di manodopera, in particolare giovane, è aggravata dal declino demografico. Considerata la “concorrenza all’accaparramento di talenti”, va notificato che un fattore non secondario alla ricerca di lavoro all’estero è la questione salariale. La questione salariale in Italia ha accumulato ritardo su ritardo. Lo denuncia il commissario europeo al Lavoro Nicolas Schmit in un’audizione al Parlamento italiano. L’obiettivo della Commissione, afferma, è garantire in ogni paese “paghe e minimi adeguati, con una contrattazione collettiva efficiente; guardando all’Italia, ho l’impressione che non sia questo il caso”; c’è “una parte enorme dell’economia dove (i salari) sono troppo bassi, una situazione non sana che va affrontata” (“la Repubblica”). Da Maurizio Landini, segretario generale della CGIL, arriva un’ammissione: sui salari “ci sono anche responsabilità nostre”; negli anni Novanta i sindacati hanno accettato un sistema contrattuale che devolveva una grande parte della rivendicazione salariale al livello aziendale, al fine di “determinare le condizioni per entrare in Europa”; il che “ha portato a politiche di moderazione salariale” (“Domani”). L’INAPP (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) valuta che i salari reali nel trentennio 1992-2022 siano cresciuti di un misero +1% in Italia, a fronte del +32.5% nella media dei paesi OCDE. Giulia Sciarrotta
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