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10.01.2025 - 11:10
Il granchio blu, specie invasiva di origine atlantica, sta mettendo in ginocchio l’ecosistema della Laguna di Chioggia e le attività tradizionali di pesca. Lo confermano i risultati della seconda fase dello studio condotto dal Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica dell’Università Ca’ Foscari Venezia, su commissione della Fondazione della Pesca.
“La Fondazione della Pesca ha investito circa 72.000 euro per questo importante progetto,” ha dichiarato Mauro Armelao, Sindaco di Chioggia e Presidente della Fondazione. “Con questa seconda fase dello studio, completiamo un lavoro che ha già fatto scuola in materia di granchio blu. I risultati saranno trasmessi alla Regione, al Ministero delle Politiche Agricole e alla Commissione Europea per sensibilizzare le istituzioni sull’emergenza.”
Anche Cristiano Corazzari, Assessore della Regione Veneto, ha sottolineato l’importanza della ricerca: “Grazie alla prima fase dello studio abbiamo richiesto la dichiarazione di calamità naturale. Ora, con questi nuovi dati, potremo approfondire le strategie per contrastare i danni causati dal granchio blu e dalle calamità naturali che hanno colpito il settore della pesca.”
Il granchio blu, introdotto accidentalmente nel Mediterraneo negli anni ’30, ha registrato un’esplosione demografica negli ecosistemi dell’Alto Adriatico nel 2023. Lo studio, condotto da giugno 2023 a giugno 2024, ha monitorato la presenza del granchio blu e i danni arrecati alle attività di pesca tradizionale.
I campionamenti, effettuati in quattro siti (fiume Brenta, laguna di Chioggia e area marina antistante), hanno rivelato una diffusione capillare della specie. Le femmine ovigere, con una fertilità media di 2-2,5 milioni di uova per esemplare, rappresentano una minaccia per l’ecosistema.
Dal punto di vista economico, il granchio blu ha causato danni significativi alle reti e agli altri attrezzi da pesca. Durante il monitoraggio, è stato stimato che ogni giorno tra il 3% e il 19% delle reti veniva danneggiato, con costi e tempi di riparazione insostenibili per i pescatori. Inoltre, molti attrezzi, come le nasse per seppie, sono risultati inutilizzabili.
Lo studio, coordinato dal Prof. Piero Franzoi, ha coinvolto ricercatori e operatori del settore, che hanno collaborato per raccogliere dati e testimonianze dirette. “La ricerca ha evidenziato la gravità del problema e rappresenta un punto di partenza per individuare soluzioni condivise,” ha concluso Armelao.
I risultati dello studio saranno fondamentali per definire nuove strategie di gestione e mitigazione. La Fondazione della Pesca punta a sensibilizzare le istituzioni europee e nazionali, mentre i pescatori locali chiedono interventi urgenti per preservare un’attività economica e culturale che rischia di essere compromessa irrimediabilmente.
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