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Chioggia saline
28.06.2025 - 10:15
Foto di repertorio
Prima che il turismo balneare, la pesca e la cucina ne facessero un punto di riferimento nel Veneto costiero, Chioggia fu soprattutto un grande emporio di sale. Un “oro bianco” così pregiato da essere per secoli il cuore dell’economia locale e dell’identità cittadina, al punto da ispirare – ancora nel 2022 – lo slogan della candidatura a Capitale Italiana della Cultura 2024: “Sale di Cultura”.
Sin dall’antichità, infatti, il sale non fu solo un condimento, ma una risorsa strategica. Fondamentale per la conservazione degli alimenti, merce di scambio tra popoli e nazioni, generò intorno a sé un’industria complessa e altamente organizzata. E a Chioggia, in particolare, questa industria assunse proporzioni imponenti.
Nel Medioevo, il sale rappresentava il più efficace strumento di valorizzazione della laguna. Proprio in questo contesto, Chioggia divenne uno dei poli saliniferi più importanti dell’Alto Adriatico, vantando ben 72 fondamenti di saline: bacini regolati da un sistema idraulico ingegnoso, in cui l’acqua marina, incanalata, evaporava lentamente lasciando cristalli bianchissimi.
La lavorazione seguiva un preciso rituale: l’acqua passava da una grande apertura alla zona del corbolo, dove i salinai la muovevano con rastrelli per accelerarne l’evaporazione. Solo alla fine, ormai densa e condensata, giungeva nelle vere e proprie saline dove il sale veniva raccolto, asciugato e stoccato.
Le saline si estendevano lungo il tratto tra Porto Edrone, a circa un miglio da Chioggia, fino all’attuale Forte San Felice, all’epoca noto come Castello della Lupa. Altre si spingevano fino a Vigo, dove si trovava anche l’ultima salina superstite: la più importante di tutte.
Attorno alla produzione gravitava una vera e propria organizzazione sociale e amministrativa. Le saline, che potevano essere private o appartenenti a enti religiosi, erano gestite da più comproprietari, i cosiddetti “consortes”, guidati da un capitano incaricato della manutenzione. La “Torre delle Saline” fungeva da presidio e controllo, mentre i grandi magazzini – i “Saloni” – custodivano il prezioso carico in attesa della distribuzione.
L’epoca d’oro si registrò tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, ma la prosperità non passò inosservata: la Repubblica di Venezia, una volta consolidato il proprio potere, impose un controllo ferreo sul commercio del sale, acquistando a prezzi stracciati la produzione clodiense per poi rivenderla a peso d’oro. Una strategia che, se da un lato arricchì la Serenissima, dall’altro avviò il lento declino del comparto locale.
Il declino fu aggravato da numerosi fattori: l’inizio dell’importazione del sale da Cervia, che spezzò il monopolio clodiense; le alluvioni, le epidemie di peste, e infine i danni provocati dalla Guerra di Chioggia (1378-1381). A partire dal Trecento, molte saline vennero abbandonate, affittate o riconvertite, e il paesaggio lagunare si trasformò. Il libero commercio del sale scomparve, e con esso una parte fondamentale della storia economica e sociale della città.
Eppure, la memoria di quell’epoca non è andata perduta.
Nel 2022, Chioggia è rientrata tra le dieci finaliste per il titolo di Capitale italiana della Cultura, con una candidatura fortemente evocativa: “Sale di cultura”. Un modo per riannodare i fili della sua storia e farne leva per un rilancio contemporaneo fondato sulla valorizzazione della propria identità storica e ambientale.
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