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Gestione carceraria
30.06.2025 - 15:37
Il carcere di Santa Maria Maggiore a Venezia
Nel carcere di Santa Maria Maggiore, la gestione quotidiana e le opportunità offerte ai detenuti nascono da un lavoro di squadra che vede protagonisti sia la polizia penitenziaria sia le istituzioni e cooperative del territorio. Enrico Farina, direttore dell’istituto, e Edgardo Contato, direttore generale dell’Ulss 3 Serenissima, raccontano due facce di un percorso comune, fatto di professionalità, rete e innovazione.
Il direttore Farina sottolinea il ruolo chiave della polizia penitenziaria, che va ben oltre la sorveglianza: «Non si tratta solo di custodire, ma di offrire un supporto attento e umano, capace di intercettare segnali importanti e costruire percorsi di responsabilizzazione». Nel carcere veneziano, dove sono ospitati circa 270 detenuti, la scelta di affidare alcuni incarichi, come il servizio CUP interno, viene fatta dopo un’accurata osservazione della personalità dei detenuti, grazie a un’intesa stretta tra educatori e agenti. Questo approccio consente di impiegare con successo un numero crescente di persone in attività lavorative e formative.
Parallelamente, il direttore generale Contato evidenzia come il CUP in carcere rappresenti un esempio concreto di innovazione sociale: «In soli sei mesi abbiamo erogato circa 20.000 prestazioni, senza che l’utenza esterna percepisca alcuna differenza nel servizio». Grazie a questa finestra aperta all’interno dell’istituto penitenziario, le prenotazioni per analisi e visite vengono gestite efficacemente, alleggerendo il carico del CUP generale e migliorando il servizio anche per la popolazione esterna.
Oltre ai benefici operativi, il progetto ha una forte valenza di reinserimento: «Dare un’opportunità lavorativa ai detenuti non è solo un vantaggio per loro, ma anche per la comunità e per l’azienda sanitaria», spiega Contato. Alcuni degli operatori formati all’interno del carcere hanno proseguito la loro esperienza professionale anche fuori, grazie a percorsi di reinserimento sostenuti dalle cooperative locali.
Farina conferma come la rete territoriale – che coinvolge istituzioni, associazioni come San Vincenzo De Paoli e il Grano di Senape, ma anche partner culturali come la Biennale di Venezia – sia un pilastro per costruire percorsi di recupero concreti e reali. «La capacità di comunicare e collaborare con il territorio è fondamentale per rispondere ai bisogni e per aprire il carcere alla comunità esterna», conclude.
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