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04.08.2025 - 06:00
Foto di repertorio
Entrare in un bar del Veneto, specialmente nelle prime ore del mattino, è un’esperienza quasi coreografica. Il cliente varca la soglia, ordina con uno sguardo o un cenno, beve il caffè in piedi al banco, paga con due parole appena accennate – spesso in dialetto – ed esce. Tutto in meno di due minuti.
Questo rito quotidiano, che può sembrare frettoloso a chi arriva da fuori, è in realtà parte di una precisa “etichetta” culturale veneta. Qui il caffè non è un momento di chiacchiera estesa come al Sud, né una pausa lunga come in certe città del Nord Europa: è un gesto funzionale, preciso, quasi sacro nella sua essenzialità.
Curioso è anche l’uso delle parole: difficilmente sentirai un veneto chiedere “un espresso, per favore”. Molto più comune è “un maciàto” (macchiato), “un paron” (caffè ristretto e forte), o anche solo “un caffè” – detto però con l’intonazione giusta, che al barista basta per capire tutto.
E poi c’è il silenzio. Nei bar storici di città come Padova, Treviso o Vicenza, la clientela del mattino – composta da lavoratori, pensionati, studenti – mantiene un tono basso, essenziale. Si comunica con lo sguardo, con abitudini consolidate. Il barista conosce i gusti dei clienti abituali e serve il caffè ancora prima che venga chiesto. Ogni gesto ha il suo posto. Ogni pausa è calibrata.
Questo minimalismo sociale, che può sembrare distaccato, rivela in realtà un profondo rispetto reciproco e una forma di efficienza quotidiana che racconta molto del carattere veneto: concreto, riservato, diretto.
Il caffè “alla veneta” non è solo una bevanda: è un microcosmo culturale, un modo tutto locale di stare al mondo – in piedi, sobriamente, ma con grande precisione.
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