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Il reato di femminicidio
26.11.2025 - 08:28
Foto di repertorio
La Camera ha approvato ieri all’unanimità il disegno di legge che introduce, per la prima volta nell’ordinamento italiano, il reato autonomo di femminicidio. Una svolta simbolica e giuridica allo stesso tempo: l’uccisione di una donna motivata da controllo, possesso o dominio non sarà più inquadrata come semplice omicidio aggravato, ma come una fattispecie distinta, punita con l’ergastolo.
La nuova norma introduce in modo esplicito nella legislazione penale concetti fino a oggi confinati nel dibattito socioculturale: la violenza esercitata per motivi di genere, l’abuso di potere relazionale, la volontà di sopraffare la vittima in quanto donna. Per i promotori, si tratta di un passaggio cruciale per riconoscere la specificità di questi delitti e offrire una risposta più netta dello Stato.
L’approvazione ha acceso immediatamente il dibattito. Tra i commenti favorevoli, c’è chi vede nell’introduzione del reato un passo necessario per dare un nome preciso a crimini radicati nelle dinamiche culturali della disparità di genere. Un riconoscimento, dicono, che non sottrae diritti a nessuno ma mette in luce una realtà storica: la violenza sulle donne nasce spesso da relazioni di potere sbilanciate e da modelli patriarcali ancora diffusi.
Sul fronte opposto emergono dubbi giuridici e timori di incostituzionalità. Diversi osservatori sottolineano come definire e provare in tribunale concetti come “controllo” o “possesso” possa diventare complesso, lasciando margini di interpretazione difficili da gestire.
Un’altra obiezione riguarda gli effetti statistici: restringendo la definizione di femminicidio a una categoria più precisa, il numero dei casi ufficiali potrebbe diminuire, dando l’impressione – secondo alcuni rischiosa – di un fenomeno in calo artificiale.
La discussione, vivace anche sui social, riflette una doppia natura della legge: da un lato la volontà di affermare un principio politico e sociale, dall’altro la necessità di costruire norme capaci di resistere al vaglio della Corte costituzionale e di funzionare davvero nelle aule giudiziarie.
Se per i sostenitori si tratta di un punto di non ritorno nella lotta alla violenza di genere, per i critici la priorità rimane potenziare le misure di prevenzione, protezione e intervento rapido, ritenute ben più efficaci delle sanzioni.
Resta il fatto che, per la prima volta, il legislatore ha scelto di definire il femminicidio come un reato autonomo.
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