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16.12.2025 - 12:29
Stefania Bon
Un Veneto dalle molte sfumature, dove la riorganizzazione dei servizi sociali procede in modo disomogeneo. È il quadro che emerge dall’analisi sugli ambiti territoriali sociali (Ats) tracciata dall’Ordine degli assistenti sociali del Veneto, a un anno e mezzo dall’approvazione della legge regionale di riforma e a poco più di quattro mesi dalla scadenza di aprile 2026, termine fissato per la conclusione della fase di transizione.
Da una parte ci sono territori che hanno saputo valorizzare la propria esperienza storica nel welfare locale, individuando modelli organizzativi coerenti con le specificità del contesto. Dall’altra, ambiti in cui il confronto tra amministrazioni comunali non ha ancora portato a una scelta condivisa oppure dove le opzioni adottate si discostano dalle indicazioni dei professionisti del settore. A destare particolare attenzione è anche l’ipotesi, nell’Est Veronese, di ricorrere a un’azienda speciale economica, soluzione che suscita perplessità tra gli addetti ai lavori.
«In questa fase – spiega Stefania Bon, presidente del Consiglio dell’Ordine degli assistenti sociali del Veneto – riteniamo importante offrire un contributo costruttivo, accompagnando l’analisi di quanto sta accadendo sui territori con la disponibilità al confronto. Mettiamo a disposizione competenze tecniche qualificate per arrivare alla scadenza del 2026 nel modo migliore possibile e garantire anche in futuro servizi sociali di qualità a tutti i cittadini».
L’Ordine ha accolto con favore anche le recenti scelte della nuova Giunta regionale, guidata dal presidente Alberto Stefani, in particolare l’istituzione di un assessorato dedicato al Sociale, Abitare e Sport affidato a Paola Roma. «È un segnale concreto di attenzione al welfare – sottolinea Bon – e il rispetto di un impegno assunto in campagna elettorale. A Paola Roma, che conosce bene il mondo dei servizi sociali, rivolgiamo i nostri auguri di buon lavoro, assicurando piena collaborazione per il bene della comunità».
La riforma degli Ats nasce dalla legge regionale 9 del 4 aprile 2024, che ha ridefinito l’assetto organizzativo degli interventi sociali, recependo anche in Veneto i principi della legge nazionale 328 del 2000. Con una successiva delibera regionale, gli ambiti sono stati fissati in 24 e, entro il 10 aprile 2026, i Comuni dovranno comunicare alla Regione la forma giuridica prescelta per la gestione dei servizi.
Il percorso si intreccia con il riconoscimento del servizio sociale professionale come livello essenziale delle prestazioni sociali (Leps), introdotto dalla legge di bilancio 2021, che fissa standard precisi: un assistente sociale ogni 5 mila abitanti come soglia minima e uno ogni 4 mila come obiettivo ottimale. A sostegno di questo processo sono stati previsti fondi dedicati, come il Fondo povertà e il Fondo di solidarietà comunale, per incentivare assunzioni stabili negli enti locali.
I dati mostrano una regione in equilibrio precario: al 30 settembre 2025 gli iscritti all’Ordine in Veneto sono 3.441. Circa il 30% opera negli enti locali, il 18% nel settore sociosanitario, il 16% nelle cooperative sociali, mentre il restante è distribuito tra giustizia, prefetture, centri servizi, libera professione o altri ambiti lavorativi. La copertura complessiva si avvicina agli standard richiesti, ma con forti differenze territoriali.
Un altro nodo centrale riguarda l’integrazione sociosanitaria, ritenuta fondamentale per rispondere a bisogni complessi in modo efficace e tempestivo, evitando frammentazioni che riducono l’efficacia degli interventi e aumentano i costi.
Sul piano operativo, la situazione regionale presenta luci e ombre. In alcuni Ats il percorso partecipativo è già concluso, con il coinvolgimento di sindaci, tecnici, professionisti, sindacati e Ulss; in altri il confronto è ancora in corso. Le condizioni contrattuali degli assistenti sociali restano molto diversificate e la transizione verso i nuovi ambiti, prevista entro la primavera 2026, rischia di generare squilibri, con il pericolo di una migrazione dei professionisti verso territori che garantiscono maggiore stabilità.
Secondo la vicepresidente dell’Ordine, Jessica Spader, «in un momento in cui i livelli essenziali delle prestazioni sociali rappresentano una grande opportunità di rinnovamento del welfare, è indispensabile valorizzare il ruolo e le competenze del servizio sociale professionale, da sempre presidio dei diritti delle persone più fragili».
La strada indicata dall’Ordine è quella dell’ascolto e del dialogo costante tra politica e tecnica. Dove questo confronto è stato avviato, le decisioni risultano più aderenti alla storia e alle esigenze del territorio. «Al contrario – conclude Spader – laddove il dialogo è mancato, il percorso appare più complesso e richiede maggiore attenzione per arrivare a soluzioni davvero coerenti con i bisogni delle comunità locali».
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