La crisi dei cementifici è l’esempio del dramma occupazionale che sta vivendo la bassa padovana. Sono oltre 200 le famiglie le cui sorti economiche sono legate a quelle dei cementifici di Este e Monselice. Ad aprile scade infatti la cassa integrazione straordinaria per 70 lavoratori della Zillo di Este, la cui produzione è ferma, ed entro il gennaio 2017 rischiano di trovarsi in mezzo ad una strada e senza ammortizzatori sociali altri 58 dipendenti della Italcementi di Monselice. A questi bisogna sommare ulteriori 30 lavoratori, ultimi esodati in attesa della settima salvaguardia, reduci dai tagli decisi in fase di passaggio di proprietà della Cementeria di Monselice ora sotto il controllo di Zillo. Sulla questione si sta muovendo la politica tutta, ma la crisi dell’industria estrattiva nell’area sembra aver imboccato un senso unico senza possibilità di ripresa. A questa si aggiungono le difficilissime situazioni di altre aziende dei Comuni contermini a Monselice con i casi della Michelin a Tribano e della Omvl a Pernumia con il rischio di avere altri 100 posti di lavoro bruciati. La contrazione del fabbisogno di cemento è ovviamente riconosciuta anche dai sindacati come la prima causa della crisi del comparto ma “non è più possibile assistere inermi alla desertificazione produttiva del territorio della bassa padovana e della provincia, con la conseguente tragedia dell’ulteriore diminuzione occupazionale”. A mancare all’appello, soprattutto in Veneto, dove la caduta del giro d’affari del cemento è superiore alla media nazionale, sono le opere pubbliche. Per questo il progetto del Muppe dovrebbe essere un’alternativa che non rincorre più l’utilizzo del cemento, ma prova a cambiare volto al territorio della bassa padovana valorizzando l’aspetto turistico e naturalistico. La speranza dei lavoratori e delle loro famiglie è ormai appesa a un filo che potrebbe non reggere. Emanuele Masiero
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