Walter Veltroni sarà presidente della giuria del Premio Campiello, la finale a settembre
Walter Veltroni
C’è chi lo indica come possibile Presidente della Repubblica, ma lui della sua “vita precedente”, come la definisce, non vuole parlare. A Walter Veltroni, 65 anni, basta il suo incarico di presidente della giuria del
premio Campiello. L’ha voluto il presidente degli industriali veneti, Enrico Carraro, che organizzano il premio e gli ha affidato un compito non semplice: dai 360 titoli giunti la giuria ha appena distillato la cinquina finalista dopo la riunione al Bo di Padova. La finale, dalla quale uscirà il SuperCampiello, si svolgerà il 4 settembre all’Arsenale di Venezia.
Presidente, lei si sente più giornalista, scrittore o regista?
“Quello che mi piace è ascoltare e raccontare delle storie. E questo si può fare in tanti modi: scrivendo, con il cinema, con i documentari; Vecchioni che è in giuria con me lo fa con le canzoni”. In una parola, le interessa la vita degli altri “La motivazione è quella. Il che rende difficile scegliere una forma rispetto alle altre”.
Lei ha scritto molti libri: ce n’è uno che preferisce?
“Quello cui sono più affezionato è il libro su mio padre, che si intitola “Ciao”. Lui è morto molto giovane e non l’ho conosciuto. Abitava al piano di sopra rispetto a dove abito io del tutto casualmente, e così ho immaginato di incontrarlo sul pianerottolo, di invitarlo a casa mia e di parlargli”.
Il suo ultimo libro è “Tana libera tutti”, che racconta la vita di Sami Modiano, bambino uscito vivo da Auschwitz. Perché ha voluto raccontare questa storia così dolorosa?
“Perché una vicenda di questo tipo, che fa vedere dove l’uomo è capace di arrivare, rischia di creare paura. E allo stesso tempo è una storia straordinaria, che non si deve dimenticare. Per questo ho usato lo stesso linguaggio di Sami, persona di grande dolcezza, il bambino che sognava di giocare a nascondino e di battere la mano sull’albero e dire, appunto, Tana libera tutti. Ma era ad Auschwitz”.
C’è un libro che non ha ancora scritto?
“Tanti. Quello che non mi manca sono gli spunti, le idee. Mi sono appuntato tante storie. Non so ancora quale sceglierò”.
Qual è il film che ha girato che le piace di più?
“Dal punto di vista civile, potrei rispondere il film su Berlinguer o quello su Sami Modiano. Ma quello che mi è piaciuto di più è “I bambini sanno”, dedicato ai bambini dai 9 ai 13 anni che ho intervistato in giro per l’Italia”.
Lo scrittore che ha amato di più da giovane? “Italo Calvino” Che magari avrà anche conosciuto…
“No, e mi dispiace molto. Ma questa immaterialità di Calvino mi ha accompagnato nella lettura delle sue opere libero dal condizionamento che deriva da una conoscenza diretta”.
Lo scrittore che le piace adesso qual è?
“Tra gli stranieri Ian McEwan, tra gli italiani Sandro Veronesi”.
È più difficile girare un bel film o scrivere un buon libro?
“Se si ha una buona idea e l’umiltà di provare e riprovare, non è difficile né l’uno né l’altro”. Un libro di un altro che le sarebbe piaciuto scrivere “Una valanga. A me piace molto il realismo magico, la letteratura sudamericana e quindi rispondo Triste, solitario e finale di Osvaldo Soriano”.
Lei ha una produzione impressionante: ma quando scrive?
“Ho sempre avuto facilità e rapidità di scrittura. Deve essere merito di mio padre giornalista. Per me è un lavoro: inizio alle otto di mattina e finisco alla sera”.
One shot, come si dice, e va bene così?
“Macché, sulla pagina ci torno e ci ritorno”.
Ha scritto “Odiare l’odio”: perché?
“Perché temo che l’odio stia diventando un codice di comunicazione del nostro tempo. Siccome ho vissuto un tempo di odio che è stato quello del terrorismo e avverto la fragilità politico-istituzionale di questo momento, ho paura che la diffusione dell’odio, di ogni forma di odio, politico, razziale, religioso, sessuale cioè l’idea della negazione della bellezza dell’altro, diventi una specie di senso comune. Quindi ho cercato di scrivere per ribellarmi”.
Dal libro alla musica: lei ha firmato il film “Il concerto ritrovato”, l’incontro tra la Pfm e De Andrè. Cosa l’ha colpita?
“De Andrè e la Pfm sono proprio l’esempio di un incontro con l’altro: cosa c’era di più lontano della musica d’autore coltissima di De Andrè e del rock progressivo della Pfm? Invece si sono incrociati, hanno avuto l’umiltà e il coraggio di lavorare insieme e hanno prodotto qualcosa di nuovo. Come sempre accade nella vita: quando due diversità si incontrano si genera vita nuova”.
Lei è diventato anche una canzone dei Garage gang. Capita a pochissimi, quasi una consacrazione.
“Mi ha molto divertito…” A proposito di musica: lei era amico di Morricone, che partecipò perfino alle primarie del suo nuovo Pd. “Certo, ero suo amico. L’ho visto poco tempo prima che se ne andasse, in una singolare circostanza. Eravamo andati lui, io, Francesco Totti e Giovanni Malagò a vedere la mostra su Sergio Leone per i trent’anni della scomparsa. È stato molto bello vederla con lui”.
Lei ha firmato un film sugli indizi di felicità. Risponda: che cos’è la felicità?
“È proprio la ricerca della felicità. È un viaggio, il dubbio, la voglia di scoprire volti nuovi”.
Lei ha diretto anche “C’è tempo”. Ma abbiamo veramente tempo?
“Sì, c’è tempo vuol dire vivere la vita non ossessionati da questo presentismo che ci uccide e che ci fa vivere rinchiusi dentro le 24 ore dove confondiamo temporali che in realtà sono pioggerelline”. In una recensione del suo commissario Buonvino è stato scritto: a furia di leggere Veltroni si diventa veltroniani “Non so chi l’abbia scritto però mi fa piacere… Buonvino è un personaggio particolare, un eroe triste e malinconico che è caduto e risalito, che avrebbe tante ragioni per non amare la vita ma in fondo la guarda con un occhio dolce, che è molto intelligente ma non se la tira… È una persona che mi piacerebbe conoscere”.
Ha un modello tra gli scrittori di gialli? “Agatha Christie”. L’imitazione che fa di lei Crozza la fa arrabbiare o divertire?
“Mi diverto, devo dire anche con quella che faceva Guzzanti”. Antonio Di Lorenzo