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Anniversario
17.06.2024 - 17:03
In occasione del 50° anniversario dall'assassinio delle prime vittime delle Brigate Rosse, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, il Comune di Padova ha ricordato le vittime alla presenza dei figli, Silvia Giralucci e Piero Mazzola.
«Un fatto tragico che ha segnato profondamente la nostra città, ma che è anche un passaggio importante nella storia recente della nostra Repubblica - le parole del sindaco, Sergio Giordani - . Il 17 giugno del 1974 era, come oggi, un lunedì, e possiamo immaginare che questa via, verso le 9,30 del mattino fosse più o meno come è adesso, con molti negozi chiusi per il riposo settimanale e poca gente ancora in giro. A quell’ora, un gruppo di brigatisti rossi fece irruzione nella sede padovana del Movimento Sociale Italiano, che si trovava nel palazzo qui al nostro fianco, e nel corso dell’assalto uccise brutalmente, Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola gli unici due militanti missini presenti in quel momento.
L'omicidio
«Questo duplice omicidio, rivendicato il giorno successivo con una telefonata al Gazzettino, aprì di fatto quel periodo della nostra storia che oggi chiamiamo “gli anni di piombo” e che tanta violenza, dolore e paura portò nella nostra città anche negli anni successivi - prosegue il sindaco - .Ora c'è da comprendere la genesi di quella stagionem che è importante per evitare che si possa ripresentare in futuro. Non possiamo accettare che in nome di un’ideologia, la contrapposizione delle idee produca violenza. Per evitarlo, oltre a conoscere e comprendere la storia, bisogno anche fare attenzione alla violenza delle parole, che credetemi non è meno pericolosa di quella fisica o armata Questo non vuol dire limitare la libertà di espressione, vuol dire rispettare la libertà degli altri e riconoscere in chi la pensa diversamente da noi, un avversario, ma mai un nemico. La nostra città nei secoli si è contraddistinta per accoglienza e capacità di garantire a tutti la libera espressione del proprio pensiero. Ricordiamoci di essere vigili e non trascurare qualsiasi segnale di un ritorno alla violenza. Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo. Teniamolo a mente tutti».
Silvia Giralucci
«Cinquant’anni fa, a colazione, ho salutato il mio papà che andava al lavoro. E non è più tornato. Potrei parlare a lungo per dire che cosa sono stati 50 anni per noi - racconta Silvia Giralucci, figlia di Graziano - .Quando in un famiglia cade una bomba come l’omicidio, a 29 anni, di un padre, un marito, un fratello, un figlio, uno zio, è come uno tsunami che trascina e travolge tutto, si addentra nell’intimità e lascia dietro di sé solo devastazione. Per quel che riguarda me - e posso parlare solo per me perché ciascuno nel proprio dolore è solo - queste ricorrenze del 17 giugno segnano la metamorfosi di un rapporto con un padre assente ma sempre presente nei pensieri: dall’incomprensione per la sua improvvisa sparizione, alla rabbia per un papà che mi pareva avesse preferito la politica a me, al dolore di accorgermi che per molti, nonostante fosse inequivocabilmente una vittima, era in qualche modo colpevole, colpevole di essere di destra, alla tristezza di osservare e che assieme al giusto ricordo di coloro che erano i suoi amici e che quel 17 giugno hanno perso anche una parte di sé, c’erano e ci sono generazioni di giovani che usano il suo nome come la bandiera del martire da sventolare per vantare un credito non saldato, ben accompagnati dagli stupidi che ugualmente lo considerano un simbolo da colpire che in tutti questi anni hanno continuato a imbrattare questa targa. O dai presunti democratici che ritengono che “le vittime sono altre”, cioè quelle delle stragi, non Giralucci e Mazzola e le vittime di destra. Inaccettabile e vergognoso. Nonostante tutto questo, spero che papà veda e sappia che la sua famiglia oggi è qui insieme, che in modi e con percorsi diversi abbiamo dato un senso al dolore che ci ha colpiti e ci siamo riaggiustati. Sono felice di aver avuto un padre che si impegnava con coraggio per ciò in cui credeva. Se fosse vivo lo prenderei in giro per aver passato mesi a fare campagna elettorale contro la legge sul divorzio - e chi mai oggi vorrebbe vivere in un Paese senza divorzio - ma so che ho ereditato da lui la passione per la politica, per l’impegno, per l’anticonformismo».
«Oggi però non siamo qui per condividere il dolore delle famiglie, siamo qui tutti assieme - e vi ringrazio di essere qui - per ricordare il primo omicidio della storia delle Brigate Rosse, il primo una serie di omicidi che hanno messo a rischio la nostra democrazia, un attacco da parte di terroristi che abbiamo sconfitto. E vorrei che il senso di questo ricordo fosse questo. La ferita che ricordiamo oggi non è la nostra personale, o solo quella di una comunità politica, ma una ferita della nostra democrazia. Penso che cinquant’anni possano essere un tempo sufficiente per ritrovare una misura: basta con le strumentalizzazioni. Il nostro essere qui oggi, la cerimonia del 17 giugno, serve a ricordarci l’importanza di una politica che si fonda sul dibattito e non sulla violenza, sul riconoscimento reciproco e non sull'attacco personale, sulla discussione per il bene comune e non sulla necessità di mostrare i muscoli. La violenza chiama solo altra violenza, non è mai giustificabile, la politica si fa in un altro modo».
«Per molti anni si parlò di un regolamento di conti tra, una faida tra destre. Solo nel 1992 si arrivò alla sentenza che riconobbe definitivamente le Brigate rosse colpevoli del duplice omicidio», osserva Piero, «nonostante il delitto fosse stato subito rivendicato».
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