Alla fine ha deciso di abbassare la saracinesca definitivamente e voltare pagina per cominciare a scrivere un nuovo capitolo della propria vita. Franco Birolo, 51 anni, il tabaccaio di Civè, che nel 2012 aveva sparato a un ladro, uccidendolo, dopo la sentenza di assoluzione, lo scorso marzo, ci aveva provato a ricominciare lì da dove la sua vita “normale” si era interrotta tentando di buttarsi gli ultimi anni alle spalle, ma senza risultato. E così ha deciso di svuotare tutto per chiudere la sua tabaccheria al centro del paese e andare a vivere in campagna, vicino agli anziani genitori, per dar loro una mano e magari trovare finalmente quella serenità che faticosamente insegue da tempo. Cosa lo ha spinto a questa radicale svolta esistenziale? “Una serie di motivi - racconta - in primo luogo la necessità di recuperare il tempo sottratto in questi anni alla famiglia, tempo che ho dovuto per lo più investire in questa vicenda giudiziaria che inaspettatamente mi ha travolto”. Durante la notte del 25 aprile 2012 entrarono nel suo negozio in quattro, Birolo che abita insieme alla moglie e la figlia al piano superiore dell’attività, scese portando con sè la pistola per controllare. La situazione degenerò e un ragazzo rimase ucciso. Birolo fu processato, accusato in primo grado di eccesso colposo di legittima difesa, poi assolto. “In questi anni di calvario -racconta - ho trascurato affetti e famiglia, ora voglio stare vicino ai miei genitori, ai suoceri e a mia sorella che ha problemi di salute”. Una scelta che non presuppone ripensamenti? “Assolutamente no. Mi sto organizzando - risponde - per liquidare l’attività. Voglio tornare a lavorare in tranquillità, voglio provare soddisfazione per quello che faccio. Attualmente non è così. Troppi pensieri mi tormentano”. “Non si tratta - prosegue - di valutazioni di carattere economico, anzi. Ho un’avviata attività nel centro del paese ma non ce la faccio tutti i giorni a lavorare con l’ansia di potere ritrovarmi nella stessa situazione. Se dovessi trovarmi ancora una volta i ladri in casa non riuscirei a stare fermo, difendrei ancora la mia famiglia. Ho paura di dover affrontare di nuovo tutto l’iter processuale. No, non voglio più correre questo rischio. Guadagnerò meno ma sarò sereno e padrone del mio tempo. Con la mia attività, la tabaccheria al centro del paese, devo tenere aperto tutti i giorni, non posso concedermi pause, rischierei - se chiudessi anche per una sola mattina - di essere accusato per interruzione di pubblico servizio”. C’è infine, oltre al danno morale, anche la “beffa” economica. “Chi e quando - si chiede Birolo - mi ripagheranno di tutte le spese che ho dovuto sostenere in questi anni per difendermi? Sembrava con la legge per la legittima difesa che andassero a rimborsare gli assolti e invece è tutto in sospeso... Lasciamo perdere”. Avrebbe voluto essere presente anche lui, Birolo, a Padova all’udienza dello scorso 2 novembre di Walter Onichini, il macellaio di Legnaro che sparò a un ladro, ferendolo, mentre gli stava rubando l’auto. E invece non ha potuto, per impegni di lavoro. Pur intenzionato a lasciarsi la propria vicenda personale alle spalle e provare a ricomicniare tutto da capo, Birolo qualcosa del suo calvario, così come lo definisce lui, la porterà con sè: l’impegno a sostenere chi si trova a vivere la sua stessa esperienza. “Faccio parte - racconta - di due gruppi che difendono i diritti delle vittime di reati accusate dopo essersi difese in casa. E non sono pochi: se ne contano a decine di casi”. Si tratta, e ci tiene Birolo a sottolineare l’impegno di queste associazioni, dell’Unavi e dell’Osservatorio nazionale a sostegno delle vittime. “Si stanno muovendo - sottolinea - in maniera massiccia, sono due gruppi importanti per cui avvocati e psicologi si mettono a servizio gratuitamente per difendere i diritti delle vittime accusate dopo essersi difese in casa”. Giorgia Gay Ornella Jovane
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