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“Alloggi popolari, non si torna indietro”

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Gli effetti della nuova legge su anziani e pensionati preoccupano le opposizioni ma Zaia conferma la riforma scattata a inizio luglio. Quasi 6 mila inquilini dovranno liberare casa nel giro di due anni

Da tempo non si registrava un’estate così calda per gli inquilini delle case popolari in Veneto, e il meteo questa volta non c’entra. Nodo del contendere, che ha acceso forti polemiche tra i partiti e dato il via a ripetute manifestazioni, è la nuova legge voluta dalla giunta Zaia che dal 1° luglio scorso ha radicalmente modificato un panorama immobile da decenni introducendo, in particolare, contratti a termine e affitti parametrati al reddito e al patrimonio degli inquilini. Risultato, una profonda spaccatura con la maggioranza a sostenere la “lotta ai furbetti” e le opposizioni a denunciare la “macelleria sociale”. La verità, come quasi sempre accade, sta forse nel mezzo. Ma riuscire a riportare ordine nella gestione di un patrimonio di quasi 40 mila case pubbliche, in gran parte costruite decenni fa e abitate dagli attuali inquilini da quasi altrettanto tempo, non sarà facile. Cifre alla mano, dei 39.733 inquilini dell’Ater ben 5.823 hanno un Isee Erp superiore ai 20 mila euro. Che non significa essere ricchi, sia ben chiaro, ma li costringerà a meno di cambiamenti nella legge a traslocare entro due anni. Qualcuno rientra a pieno titolo nella categoria dei truffatori. “La nuova legge ci ha consentito di fare chiarezza e di fotografare, per la prima volta, e in modo oggettivo, redditi e patrimoni mobiliari e immobiliari degli assegnatari – ricorda l’assessore alla Sanità e al sociale Manuela Lanzarin – individuando anche casi clamorosi, come quelli di chi con un milione di euro di risparmi paga 250 euro al mese di affitto per un alloggio di 100 metri quadrati o chi paga appena 10,87 euro al mese per un appartamento di 130 metri quadrati e ha accantonato depositi per 340 mila euro. Oppure come chi, pur disponendo di patrimoni immobiliari e immobiliare, non paga l’affitto da più di 4 mesi”. Per molti altri, però, il cambiamento rischia di essere una mazzata. “I dati aggiornati – denunciano i consiglieri regionali del Pd – hanno confermato il pesante impatto soprattutto sugli anziani e i pensionati. Preoccupano in particolare gli oltre 6 mila over 75 che vivono soli e si trovano con un incremento di affitto insostenibile. È indubbio che le soglie Isee siano inadeguate, specialmente per chi ha messo da parte qualche risparmio. Ma la risposta ai 13 mila nuclei in attesa non può e non deve essere la revisione dei canoni, ma stanziamenti veri e pesanti, a partire dal bilancio di previsione 2020”. La Regione non sembra però disposta a fare retromarcia e ricorda anzi che le sette Ater del Veneto registrano a oggi 2.108 inquilini morosi, da cui attendono ancora affitti per 15 milioni di euro. Nessun passo indietro sui caposaldi, conferma il presidente Zaia, anche se con una apertura: “Ci possono essere casi sociali, persone anziane o con disabilità o famiglie in situazioni di criticità, di cui terremo certamente conto. Ma non cambieremo la legge 39, né siamo disponibili a chiudere un occhio verso i quasi 3 mila inquilini che non hanno presentato la dichiarazione Isee. La funzione sociale della Regione non è quella di essere una società immobiliare e di lucrare sugli affitti, ma quella di garantire il diritto alla casa a chi non ce la fa ad accedere ai prezzi di mercato”. Su una cosa almeno, con un pizzico di buona volontà, la politica veneta potrebbe comunque trovarsi d’accordo. 40 mila alloggi possono sembrare tanti, ma sono ben lontani dal rispondere alle esigenze delle fasce sociali più deboli specie considerando la lievitazione degli affitti sul libero mercato e la difficoltà di accendere un mutuo per tanti giovani. Aumentare ragionevolmente i canoni, e contemporaneamente tornare a investire sull’edilizia pubblica, sono due strade da percorrere insieme. Germana Urbani
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