Scopri tutti gli eventi
Lavoro e repressione
04.12.2025 - 15:21
Anche oggi viene scritta una pagina dolorosa ma decisiva della grande mobilitazione metalmeccanica. A Genova, migliaia di lavoratori dell’ex Ilva – sostenuti da tutto il comparto metalmeccanico, dagli studenti e da larga parte della cittadinanza – hanno trasformato lo sciopero generale in una manifestazione di dignità contro lo stallo del governo e l’assenza di un vero piano industriale. Alla fine, ciò che doveva essere un corteo sindacale si è trasformato in un episodio di tensione che richiama la necessità di ripensare il rapporto fra istituzioni, lavoro e democrazia. Nel frattempo, a Taranto, dopo giorni di mobilitazioni e scioperi si rinvia ai consigli di fabbrica.
Genova, Cinquemila operai, in marcia da Cornigliano verso il centro, hanno trovato la Prefettura serrata dietro grate e blindati. Un’immagine che colpisce: lo Stato, “fondato sul lavoro” chiuso a difesa di sé stesso, mentre i lavoratori chiedono di essere ascoltati. Il lancio simbolico di uova e fumogeni ha preceduto la risposta della polizia, che ha sparato lacrimogeni anche ad altezza d’uomo, ferendo un operaio Fiom.
Nel frattempo, a Taranto, gli operai dell’acciaieria concludevano uno sciopero ad oltranza durato 48 ore, con blocchi sulle statali e presidi alle portinerie. Due città distanti, ma una stessa domanda: cosa intende fare il governo sul futuro dell’acciaio italiano?

La premier Giorgia Meloni, chiamata da giorni a intervenire direttamente sulla vertenza, continua a non pronunciarsi. Un silenzio politico che pesa, perché il dossier ex Ilva non è solo una questione occupazionale ma un nodo strategico per la politica industriale nazionale e per la transizione ecologica. Come ricordato dal segretario generale della Fiom Michele De Palma, il governo aveva presentato un piano chiaro, basato su DRI e forni elettrici per decarbonizzare la produzione e garantire l’occupazione. Poi, improvvisamente, quel percorso si è fermato.
La mobilitazione di Genova ha raccontato la frustrazione di un territorio che, ancora una volta, teme di essere sacrificato. Sradicare le grate davanti alla Prefettura è stato un gesto simbolico, non un assalto: gli operai non hanno varcato il varco, preferendo dirottare il corteo verso la stazione di Brignole, occupando i binari come forma di pressione democratica. La sindaca Silvia Salis e il governatore Bucci sono stati chiamati a farsi garanti di un dialogo reale con Roma. Ma i lavoratori vogliono fatti, non mediazioni di facciata.
La voce che si è levata dalle fabbriche liguri e pugliesi è anche una voce ambientale. La vertenza ex Ilva non è la difesa cieca di un modello industriale del passato: è la richiesta di investire davvero nella riconversione ecologica, nell’acciaio pulito, in impianti moderni che possano dare futuro sia ai lavoratori sia ai territori segnati da decenni di inquinamento. La decarbonizzazione non è un costo, ma una necessità strategica, economica e sanitaria.

In questo senso risuonano anche le parole del Collettivo di Fabbrica GKN, che ha ricordato come la repressione dei movimenti – ambientali, sindacali, studenteschi – stia diventando un filo rosso inquietante. L’odore dei lacrimogeni, scrivono, ormai “è così vicino”, e la difesa del lavoro non può essere separata dalla difesa del clima e della democrazia. Non è retorica: è la realtà di un Paese in cui gli spazi di protesta si restringono mentre aumentano precarietà, povertà e crisi industriali.
La battaglia dei metalmeccanici per il lavoro, il salario e l’ambiente non riguarda solo Genova o Taranto: riguarda l’Italia intera. Riguarda il modo in cui affrontiamo le transizioni industriali, chi pagherà i costi del cambiamento e quale ruolo debba avere lo Stato nel governare processi complessi, senza scaricare tutto sui lavoratori.
Il messaggio che arriva dalle piazze è chiaro: non c’è futuro industriale senza partecipazione, senza giustizia sociale e senza una vera conversione ecologica. La politica ha il dovere di ascoltare, aprire un confronto e assumersi la responsabilità delle scelte. Perché l’acciaio italiano – come la democrazia – non si regge sui blindati, ma sulla dignità delle persone che lo producono.
Edizione
I più letti
GIVE EMOTIONS SRL | C.F. e P.IVA 04385760287 REA PD-385156 | Reg. Tribunale di Padova n. 2516