Ha suscitato scalpore la vicenda del piccolo Francesco,morto all’ età di 7 anni per le complicazioni di una banale otite curata con farmaci omeopatici. Otite che se trattata in tempo con terapia antibiotica sarebbe guarita in poco tempo.Ciò che colpisce di più è il fatto che ad avere in cura il bambino fosse un medico abilitato all’ esercizio della professione. Infatti l’omeopatia rientra fra quelle che,definite medicine non convenzionali, rientra in uno specifico albo,tenuto dall’Ordine dei Medici, in cui sono inseriti i professionisti, medici abilitati all’ esercizio della professione medica,che dimostrino di aver frequentato corsi di studio appropriati. Gli Ordini dei Medici hanno istituito tale albo per la difesa della salute di coloro che a tali pratiche terapeutiche si sottopongono,vista la diffusione del fenomeno, in modo che fosse affidato ad un medico l’utilizzo di tali presidi terapeutici e non ad imbroglioni e ciarlatani sempre presenti quando c’è da lucrare sulla salute. Con l’imperativo deontologico contenuto nel nostro Codice: “Il medico può prescrivere e adottare, sotto la sua diretta responsabilità, sistemi e metodi di prevenzione, diagnosi e cura non convenzionali nel rispetto del decoro e della dignità della professione. Il medico non deve sottrarre la persona assistita a trattamenti scientificamente fondati e di comprovata efficacia. Il medico garantisce sia la qualità della propria formazione specifica nell’utilizzo dei sistemi e dei metodi non convenzionali, sia una circostanziata informazione per l’acquisizione del consenso. Il medico non deve collaborare né favorire l’esercizio di terzi non medici nelle discipline non convenzionali riconosciute quali attività esclusive e riservate alla professione medica.” L’omeopatia (simile sofferenza) è una pratica di medicina non convenzionale basata sui principi formulati dal medico tedesco Samuel Hahnemann nella prima metà del secolo XIX, alla cui base vi è il principio di similitudine del farmaco (similia similibus curantur) secondo cui il rimedio per una determinata malattia consiste in una sostanza che induce in un soggetto sano gli stessi sintomi che presenta la persona malata. Questo principio omeopatico, una volta individuato, viene assunto in una dose fortemente diluita (potenza) e dinamizzata attraverso un procedimento detto “succussione”. Le “potenze” sono diluizioni 1 a 100 (potenze centesimali o potenze C o CH) o diluizioni 1 a 10 (potenze decimali D o DH). In una diluizione C la sostanza viene diluita in 99 parti di solvente e in seguito “dinamizzata”, ovvero agitata con forza con un procedimento che viene chiamato “succussione”; in una diluizione D la sostanza viene diluita in 9 parti di solvente e sottoposta alla stessa dinamizzazione. La critica maggiore che viene rappresentata a tali preparazioni è il fatto che diluizioni di 12 C, che significa che una sostanza è stata diluita per dodici volte, ogni volta 1 a 100, per un totale di una parte su 100 alla dodicesima o 24 D (=10 alla ventiquattro), comunemente utilizzate nei preparati omeopatici, (quando non diluizioni ancor maggiori) per le leggi della chimica portano a non contenere neppure una molecola della sostanza di partenza. Tanto da rendere indistinguibili prodotti omeopatici in origine diversi fra loro e destinati a terapie specifiche, non esistendo alcun metodo di analisi chimiche in grado di classificarli. Kate Chatfield, della British Homeopathic Association ha ammesso, in una audizione presso il Parlamento britannico che non esiste alcun modo per distinguere tra loro due prodotti omeopatici se non per l’etichetta della confezione. Così dicasi per i prodotti solidi metallici sminuzzati le cui diluizioni successive danno come prodotto finale acqua e zucchero. Ciò dato è stata formulata, dai sostenitori dell’omeopatia, la teoria della “memoria dell’acqua” secondo cui le molecole conserverebbero una geometria molecolare derivante dagli elementi chimici con cui sono venute a contatto e quindi l’informazione del principio attivo che ne spiegherebbe la supposta efficacia terapeutica. Non si comprende però perché l’acqua conserverebbe solo le proprietà terapeutiche e non quelle tossiche delle sostanze con cui è venuta in contatto. Inoltre non esiste nessuna prova scientifica sull’esistenza della memoria dell’acqua. Allo stato attuale non esiste alcuno studio scientifico che abbia potuto provare che l’omeopatia abbia efficacia terapeutica superiore all’ effetto placebo. Gli effetti positivi che molti pazienti dichiarano infatti sono confrontabili con quelli derivanti dall’effetto placebo, risultanza anche della visione olistica e dell’attenzione che il medico omeopata presta al paziente e al suo vissuto della malattia, che spiegano il successo sociale di tale pratica terapeutica. L’omeopatia contemporanea in effetti si rivolge più a patologie che derivano dall’alterazione o dal malfunzionamento dei sistemi che regolano e difendono il corpo umano. Gli effetti avversi dei farmaci omeopatici sono sostanzialmente di due tipi: indiretti e diretti,i primi derivano dall’abbandono di terapie scientificamente validate in favore dell’omeopatia,i secondi da eccipienti e processi di produzione scorretti e vanno da lievi disturbi fino alla morte. Nei Paesi dove l’omeopatia ha riscontrato la maggior diffusione (USA,Gran Bretagna, Francia, Germania, India) tanto che in molti di questi i farmaci omeopatici sono entrati nella farmacopea ufficiale e finanziati dal sistema pubblico, si sta registrando una notevole diminuzione del loro utilizzo e un calo di popolarità dell’omeopatia; in Francia il rimborso previsto per sostanze omeopatiche è sceso dal 65% al 35%,mentre in Gran Bretagna il Servizio Sanitario ha cancellato i farmaci omeopatici dal suo prontuario farmaceutico e sempre in Gran Bretagna si è assistito ad un calo record nelle vendite di prodotti omeopatici. In Italia le persone che si sono rivolte a cure omeopatiche sono passate dal 15,5% del 2000 all’8,2% del 2013. Anche se il ricorso alle cure omeopatiche è in netta diminuzione,è ancora alto il numero di persone che ad esse si rivolgono, per questo motivo è stato saggio limitarne la prescrizione ai Medici, cultori della materia, sempre con l’imperativo deontologico di non convincere i malati ad abbandonare o ritardare cure mediche di sicura efficacia. dott. Francesco Noce presidente dell'Ordine dei Medici chirurghi e Odontoiatri di Rovigo
Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter