Valentina Piovane allìopera sullacelebre "Cena" del Veronese
Restauratrice di valore, Valentina Piovan è la protagonista della rinascita della “Cena” a Monte Berico
Valentina Piovane allìopera sullacelebre "Cena" del Veronese
Per gli amici è Vale Giotto, all’anagrafe è Valentina Piovan, 54 anni, di Padova. Ha un privilegio che moltissimi le invidiano: guardare negli occhi, a pochi centimetri, i molti volti di papi, re e regine del passato, ma anche di altrettante teste non coronate, riprodotti dai grandi e insuperabili pittori. Si parte da Giotto (da cui il soprannome) per arrivare a Tiepolo, Veronese, Bellini, Canaletto, Tiziano, Maffei… con una lunga schiera di grandi maestri che stupiscono il mondo. È una restauratrice. È Il suo lavoro, o meglio, la sua appassionante missione. L’ha avviata giovanissima sulla strada di recuperare emozioni velate dal tempo il padre Valter Piovan, padovano, professionista molto apprezzato e ambito dal mondo del restauro italiano.
La restauratrice Valentina Piovan davanti alla "Cena" a Monte Berico
Valentina Piovan adesso si trova a Venezia: sta “dialogando” con san Giorgio (e il suo cavallo) all’interno della scuola dalmata, nel sestiere di Castello, agli Schiavoni. È un’opera di Vittore Carpaccio che qui, agli inizi del 1500, ha consegnato un ciclo di teleri sulla storia di san Giorgio che sconfigge il drago. Valentina ha ancora negli occhi lo splendore della cena di San Gregorio Magno di Paolo Veronese custodito nel santuario di Monte Berico, che ha finito di restaurare grazie alla generosità di Intesa Sanpaolo ma soprattutto alla sua infaticabile dedizione, che l’ha vista impegnata intensamente per tre anni, specie negli ultimi otto mesi, sostenuta dal suo team. I lavori erano stati avviati ancora nel lontano ottobre 2019, ma poi la pandemia ha fatto sballare tutta la tempistica e si è arrivati allo scorso fine maggio e alla presentazione ufficiale il 10 giugno scorso, festa della città. “È stata un’impresa faticosissima: muoversi su una superficie di 40 metri quadrati e andare a ritoccare la singola pennellata è stato molto impegnativo. Soprattutto ci veniva chiesto di mantenere una costante tensione e concentrazione per andare a cercare e, quindi, a restituire il valore cromatico espresso in origine dal Veronese e dalla sua scuola nel 1572”. Ora la tela, sottolinea Valentina Piovan, si presenta con la primitiva gamma cromatica vivace e distintiva di Paolo Veronese, accompagnata dalla sapiente e continua combinazione di luci e ombre, con l’ardita giustapposizione delle campiture di colore dove si possono distinguere anche le singole pennellate, particolarmente apprezzabili nei dettagli dei volti e sui panneggi. Per capire le tecniche adottate, ma soprattutto il clima culturale e il contesto artistico in cui ha operato Paolo Caliari, detto il Veronese, primario esponente del Rinascimento italiano e, insieme a Tiziano e al Tintoretto, della pittura veneziana cinquecentesca, sono stati imprescindibili la ricerca documentale e lo studio della tecnica esecutiva. Il che ha permesso di intervenire sulla grande opera con l’obiettivo di riportare la tela ad uno stato quanto più vicino all’originale. La grande cena, com’è noto, ha una storia travagliata e ha dovuto affrontare lo scempio delle soldataglie austriache che nel giugno del 1848 lo hanno lacerato in ben 32 strisce, nella speranza di portarsi a casa non solo un souvenir dall’Italia, ma anche un triste bottino di guerra. Progetto scellerato poi fortunatamente naufragato con tanto di pentimento riparatore da parte dell’imperatore. “Ho lavorato benissimo a Vicenza e mi sono trovato in piena sintonia con i miei interlocutori istituzionali” commenta Piovan. Così come si trova a suo agio a Padova, dove le hanno affidato a suo tempo il restauro e ora la continua e annuale manutenzione del ciclo giottesco degli Scrovegni. Per finire, in quanto a salute, chiediamo come sta il nostro incommensurabile patrimonio artistico italiano e vicentino? Per la restauratrice padovana, la sfida è conciliare la manutenzione con il godimento delle opere. Ovvero: musei, istituzioni, privati, devono trovare il giusto equilibrio tra l’utilizzo espositivo delle opere, fonte innegabile di risorse sempre necessarie, e la loro manutenzione e conservazione. Talvolta, osserva Piovan, questo rapporto appare sbilanciato a favore del business. La fragilità di certi capolavori, però, non ammette deroghe e tutti ne dobbiamo essere lucidamente convinti.
Silvio Scacco
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