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Università di Verona, scandalo per la nomina a docente ordinario del figlio dell'ex rettore

Il figlio 33enne dell'ex rettore Nocini diventa ordinario di Otorinolaringoiatria superando un concorso per cui era l'unico candidato. L'Autorità nazionale anticorruzione invia una richiesta scritta alla rettrice, che si difende esprimendo profondo disagio. In Senato, Crisanti (PD) attacca l'intero sistema universitario italiano.

Università di Verona, scandalo per la nomina a docente ordinario del figlio dell'ex rettore

Al centro l'ex rettore dell'Università di Verona Francesco Nocini all'inaugurazione, lo scorso settembre, del nuovo edificio Biologico 3 nel Polo Universitario Scientifico Tecnologico di Borgo Roma

Un concorso universitario che si chiude con un unico partecipante e con la vittoria del figlio dell’ex rettore dell’ateneo. È questo il caso che ha acceso il dibattito all’Università di Verona e che ora è approdato all’attenzione dell’Autorità nazionale anticorruzione, oltre ad aver generato una richiesta formale di sospensione dell’incarico alla nuova rettrice.

Protagonista della vicenda è Riccardo Nocini, 33 anni, nominato professore ordinario di otorinolaringoiatria all’interno del Dipartimento di Scienze chirurgiche, odontostomatologiche e materno-infantili. Una nomina arrivata al termine di una procedura selettiva alla quale si è candidato soltanto lui. Un elemento che, insieme ad altri, ha alimentato il sospetto che il bando fosse costruito su misura.

Un intreccio di ruoli e tempistiche

Le contestazioni muovono da una ricostruzione che parte da lontano. Il dipartimento interessato viene istituito nel 2015 e, fin dalla nascita, è guidato da Pier Francesco Nocini, padre del vincitore del concorso. Negli anni successivi, lo stesso Nocini senior assume incarichi sempre più rilevanti fino a diventare rettore dell’ateneo, mantenendo tuttavia rapporti e funzioni che continuano a intrecciarsi con il dipartimento di origine.

Anche dopo il passaggio formale a un’altra struttura universitaria, avvenuto nel 2023, questi legami non si interrompono del tutto, secondo quanto evidenziato nell’esposto presentato da due associazioni attive nella tutela di ricercatori e specializzandi. È proprio questo contesto a fare da sfondo alla decisione del dipartimento di avviare, nel febbraio 2024, una procedura per la chiamata di un professore ordinario.

Da selezione “esterna” a procedura su misura

Nelle prime delibere, la necessità del nuovo docente viene giustificata con esigenze didattiche e di ricerca e la selezione viene descritta come riservata a candidati esterni all’ateneo. Nel passaggio ai livelli superiori della governance universitaria, la motivazione si evolve: si fa riferimento all’ampliamento dell’offerta formativa e al rafforzamento della scuola di specializzazione, ma resta formalmente il vincolo dell’esteriorità.

È nella fase finale, tuttavia, che la procedura cambia volto. Al momento della pubblicazione del bando, avvenuta nell’autunno del 2025, la selezione non è più esclusivamente esterna: la nuova formula mista esclude i professori ordinari già in servizio ma ammette candidati interni non ancora ordinari. Una modifica che consente la partecipazione di Riccardo Nocini, già coinvolto negli anni precedenti in attività didattiche riconducibili allo stesso dipartimento.

Un solo concorrente, un solo vincitore

Alla scadenza dei termini, il risultato è netto: un solo candidato, che coincide con il futuro vincitore. La procedura si chiude rapidamente e la nomina viene ratificata con decreto rettorale a fine novembre. Ma le perplessità non si placano. Anzi, diventano oggetto di un esposto formale e di una richiesta di intervento immediato.

Secondo i firmatari, la sequenza degli eventi – dalla tempistica della pubblicazione del bando, avvenuta a ridosso del cambio di rettorato, alla trasformazione delle regole di accesso – non può essere letta come casuale. A pesare è soprattutto il ruolo ricoperto fino a pochi giorni prima dal padre del vincitore e la sua lunga influenza nell’ambito dipartimentale coinvolto.

Il nodo giuridico e il richiamo alla legge

Al centro delle contestazioni c’è anche il possibile contrasto con la normativa che disciplina il reclutamento universitario. La legge che regola il sistema prevede infatti il divieto di partecipazione alle selezioni per chi abbia legami di parentela con i vertici accademici o con docenti del dipartimento che bandisce il posto. Un divieto che, secondo la giurisprudenza amministrativa richiamata nell’esposto, deve essere interpretato in modo sostanziale e non limitarsi a una verifica meramente formale delle cariche ricoperte.

Ora la parola passa agli organi di controllo e alla governance dell’ateneo. In attesa di eventuali verifiche, il caso riaccende una questione mai del tutto risolta nel sistema universitario italiano: quella della trasparenza nei concorsi e della necessità di evitare anche solo il sospetto che le carriere accademiche possano essere agevolate da legami familiari più che dal merito.

L'attuale Rettrice,  Chiara Leardini nella riunione del Senato accademico dell'Università di Verona, venerdì scorso 19 dicembre, ha condiviso all’interno degli Organi istituzionali la posizione ufficiale dell'Ateneo rispetto alla notizia suddetta, esprimendo disagio umano e professionale derivante dalla sua posizione di rappresentante unico dell'Ateneo.Rispondendo ad alcuni rappresentanti degli studenti in merito alla vicenda ha invitato poi i presenti e i coinvolti a proteggere il prestigio dell'istituzione universitaria scaligera. Il video del suo intervento è apparso sui canali social ufficiali dell'Università di Verona.

L'intervento di Andrea Crisanti (PD) in Senato  

Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere anche l’intervento in Senato di Andrea Crisanti, senatore e microbiologo, che ha lanciato una durissima accusa al sistema dei concorsi universitari italiani. Crisanti ha dichiarato che “in quarant’anni di carriera non sono a conoscenza di un singolo concorso in Italia di cui non si sapesse già il vincitore prima”, denunciando così una prassi diffusa di selezioni per lo più predeterminate e poco trasparenti. Ha inoltre richiamato un dato – molto citato nel dibattito pubblico – secondo cui circa l’80 % dei docenti universitari italiani ha svolto l’intera carriera accademica (dalla laurea alla docenza) nello stesso ateneo, un tasso sensibilmente più alto della media europea, che a suo giudizio contribuisce a un’endogamia accademica che danneggia mobilità, merito e qualità della ricerca e dell’insegnamento. 

Anche su social e piattaforme online la reazione al suo discorso è stata divisa: da un lato chi plaude all’onestà e alla franchezza della denuncia come utile stimolo alla trasparenza, dall’altro chi giudica il tono eccessivamente cinico o troppo generale, rischiando secondo alcuni di semplificare problemi strutturali complessi o di apparire quasi una giustificazione delle criticità stesse del sistema universitario.

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