Silvio Lacasella assieme a Stefano Annibaletto, curatore della mostra
La mostra di Lacasella "Atlante delle nuvole" è curata da Stefano Annibaletto
Silvio Lacasella assieme a Stefano Annibaletto, curatore della mostra
Se gli chiedete che tipo di pittore sia, vi risponderà che lui cammina sul filo del rasoio, tra il figurativo e l’astratto. Col che non significa che sia indefinito: semplicemente fonde le due categorie. Sarà possibile scoprirlo nei settanta quadri, nelle trentacinque incisioni e in una quindicina di dipinti ispirati… dall’ombra della sua bicicletta mentre pedale che saranno esposti dal 12 febbraio al 13 marzo al museo degli Eremitani di Padova. È intitolata “Atlante delle nuvole” la personale dedicata al pittore vicentino Silvio Lacasella, 65 anni, in attività da 45. La mostra è curata da Stefano Annibaletto e rappresenta, come sottolinea l’assessore Andrea Colasio, “una delle prime personali che il museo Eremitani dedica ad un artista tuttora in attività, segno di una più approfondita attenzione all’arte contemporanea”. Lacasella s’è dedicato all’incisione fino al 1988, cioè fino ai 32 anni, sulle orme di un grande padovano, Tono Zancanaro, di cui era amico. Da allora la sua ricerca s’è indirizzata alla pittura. Insegna da sedici anni alla Libera accademia Cignaroli di Verona: in questo periodo ha formato circa 250 allievi. È un lavoro che lo interessa molto: “Insegni a vedere le cose – spiega – e ad alzare la barriera critica, dài loro un ventaglio di possibilità tecniche”.
Un dipinto di Lacasella intitolato "La montagna ferita"
La mostra degli Eremitani giunge dopo la personale a palazzo Chiericati a Vicenza di fine 2014, e dopo un’altra al Lamec nel 2009. Amatissimo, fra gli altri, da Vittorio Sgarbi e da Mario Rigoni Stern, ha collezionato dall’uno e dall’altro lusinghieri apprezzamenti. “Quando parlo del maestro Silvio – scriveva Sgarbi alcuni anni fa – non alludo a Silvio Berlusconi ma a Silvio Lacasella”. E sempre lui ha annotato nel saggio del 1987 in cui ha presentato l’opera omnia delle incisioni di Neri Pozza che c’è un solo erede del grande Neri: l’incisore Silvio Lacasella. Lui spiega così la sua ricerca: “La mia pittura è figurativa, perché parte da una disciplina. Mi serve un alto e un basso, devo sapere che quello sotto è il mare e quello sopra è il cielo. Ma appeno inizio a dipingere me ne dimentico. E allora il quadro diventa astratto. Non c’è un elemento riconoscibile. Cammina sul filo. Del resto, sono suggestionato da una serie di pittori, alcuni figurativi (Ferroni e Guccione) e altri astratti (Afro, Fautrier) anche se le differenze sono sempre sottili. Prendiamo Morandi: le sue non sono bottiglie, ma suoni e cadenze, lui le definisce un ritmo. Ecco, sono attratto dai pittori che segnano un ritmo. Pertanto la mia pittura è fuori schema, ha una traiettoria irregolare, non è collocabile. Gli orizzonti ricordano Guccione, ma non è sempre così. Dei pittori astratti mi interessa molto l’uso della materia, come in Fautrier che mette spessori materici nei dipinti. Facendo un salto, pensiamo ai sacchi di Burri, con i quali lui crea la materia che forma le ombre e lo spessore. Così le sue opere diventano più reali della pittura iper realista”. Nel catalogo della mostra, in una conversazione con il figlio Pietro, Silvio Lacasella spiega così l’ispirazione e la nascita dei suoi quadri: “La complessità di ciò che scegliamo di guardare contiene un'anima. Per alcuni, proustianamente, quest'anima è fissata in un particolare; per altri, al contrario, è proprio il veloce e concitato sovrapporsi delle immagini a creare un’impronta nel ricordo; per altri ancora l'anima esce dal silenzio che determinati luoghi trasmettono.” “Ci sono pittori che, affascinati dalla natura, hanno bisogno di instaurare un diretto contatto, così da far proprio ciò che stanno guardando. Penso a Courbet che prese studio in una baracca a pochi passi dal mare, così da guardare gli spruzzi delle onde battere sui vetri, per rendere al massimo grado "reale" ciò che andava dipingendo; ma penso anche a Giorgio Morandi che riusciva a dipingere il verde paesaggio di Grezzana solo aprendo le finestre della sua casa negli Appennini o ad altri, come me, che invece trattengono la memoria di ciò che più e più volte hanno guardato, conservando di quelle immagini l'anima, appunto, o, per meglio dire, la possibilità di rendere visivamente ciò che nessuna parola riuscirebbe a tradurre”.
Antonio Di Lorenzo
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