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Mocenigo, il vicentino che anticipò Marconi: ma nessuno lo ringraziò

MOCENIGO MIGLIORE

Alvise Mocenigo, patrizio veneto vicentino d'adozione

Mocenigo visse sin da bambino a Vicenza a palazzo Rèpeta: fu grande inventore e scienziato

Alvise Mocenigo, patrizio veneto vicentino d'adozione
Un patrizio veneto precursore del Marconi: così titolava audacemente “La Gazzetta di Venezia” del 5 agosto 1897. Ma a chi si riferiva l’articolista? Quale mente illuminata manifestava doti inventive tali da contendere il primato all’allora giovane ma già affermato Guglielmo Marconi? Il riferimento era a Giovanni Alvise V Mocenigo, terzo discendente diretto dell’ultimo dei sette dogi prestati da quella illustre famiglia alla città di Venezia. Zannetto, come veniva chiamato affettuosamente dai suoi cari, era nato a Treviso l’11 aprile del 1822 ma si trasferì ancora fanciullo dal nonno materno a Vicenza, quel Luigi Sale che sposò la bella e irrequieta nobildonna Fiorenza Vendramin, morta suicida nel 1797.
L'invenzione di Mocenigo:telefono e microfono convertito in strumento musicale. Cento anni dopo i cellulari trasmettono davvero musica
Nell’imponente residenza di palazzo Rèpeta, oggi ex sede della Banca d’Italia in piazza S. Lorenzo, circondato da una delle più fornite biblioteche cittadine con i suoi 9000 volumi, il piccolo Mocenigo ricevette dall’avo un’educazione varia e approfondita, entusiasmandosi però nell’apprendimento delle materie scientifiche, cui dedicherà l’intera sua vita. “S’appassionò siffattamente a tal genere di studi – scriverà suo figlio all’abate Rumor, intento a recuperare notizie per la sua monumentale opera sugli scrittori vicentini – che ne divenne scienziato distinto e conosciuto; ebbe amicizia e corrispondenza coi maggiori dotti del suo tempo che lo onorarono dei loro consigli e dei loro elogi”. I suoi interessi, infatti, spaziavano dall’astronomia alla vulcanologia, dalla meccanica alla meteorologia, dall’aeronautica alla fisica. La serie lunghissima di esperimenti, sfociati fin dal 1864 in numerose pubblicazioni scientifiche, dovette evidentemente mettere a grosso rischio le sue risorse finanziare visto che, nel giro di quindici anni, il Mocenigo si alleggerì della cospicua eredità di famiglia, come la libreria del marchese suo nonno (1852), il palazzo Rèpeta (1867), la splendida villa palladiana di Campiglia dei Berici e l’antico feudo di famiglia (1876). Trasferitosi nella sontuosa residenza di Ca’ Cornaro di Romano d’Ezzelino lì, “con un telefono situato in una stanza e l’altro a circa 300 metri di distanza in un chiosco di legno costruito appositamente nel prato del parco”, poté attendere ai test di trasmissione elettro-magnetica ricordati dal quotidiano veneziano. Ma queste non furono le uniche esperienze scientifiche sul campo che gli valsero apprezzamenti e riconoscimenti. Mocenigo fu infatti l’inventore, ad esempio, delle caldaie solari, cioè di un “nuovo metodo per riscaldare l’acqua senza combustibile sia ad oggetto di ricerche scientifiche sopra il calore del sole, sia per scopi famigliari di bagni e cottura di vivande”, fra i suoi primissimi studi e certamente fra i più noti, seppur fra la ristretta cerchia delle sue conoscenze. Sì, perché il grosso cruccio del conte fu quello di assistere alla totale indifferenza del proprio paese per ogni benché minima forma di innovazione. Presentando la seconda edizione del suo studio sulle caldaie, Mocenigo se ne lamentava pubblicamente: “Dirò solo, come io schivo ed aborrente per natura e da un’ammirazione  troppo cieca e da un’accoglienza glaciale con cui nel mio paese e nel resto d’Italia tutta si suole accogliere generalmente tutto ciò che sa di nuovo e può interessare il suo benessere ed i suoi destini, tanto più ove la novità parta da un concittadino non prima battezzato dal favore straniero, non ho voluto, né bramato mai estendere oltre la sfera di alcuni miei amici e compatriotti la conoscenza del mio importante ritrovato”. Ma si sa: nemo propheta in patria est. Un riconoscimento ufficiale comunque gli giunse: ottenne la nomina a cavaliere della Corona d’Italia, prima che la morte lo cogliesse a Verona il primo marzo 1893, lasciando ai posteri appena il ricordo di una pur schietta ed esaltante passione.

Oreste Palmiero

 
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