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Novant'anni dalla nascita di Virgilio Scapin, intellettuale dalle mille vite: un'occasione per Vicenza

Scapin fu scrittore, libraio a Vicenza in contrà do Rode, attore in film indimenticabili, gastronomo

Ugo Tognazzi assieme a Virgilio Scapin nel 1968 a Vicenza quando giravano "Il commissario Pepe"
Aspettava i vicentini con un libro in mano sulla soglia della libreria in contrà Do Rode. E spiegava: “Lo faccio per invogliarli, come l’oste che sta sulla porta con un bicchiere di vino”. Virgilio Scapin è un personaggio straordinario della Vicenza dagli anni Settanta in poi, fino alla chiusura della libreria nel 2002. Libraio, scrittore, attore, ha vissuto molte vite. Quest'anno si celebrano i novanta anni della sua nascita, visto che era nato nel 1932, esattamente l'11 luglio. Indimenticabile la sua partecipazione a Signore e signori di Pietro Germi e al Commissario Pepe di Ettore Scola. Fu anche priore della Venerabile confraternita del bacalà sin dalla sua fondazione nel 1987. La ricorrenza è un'occasione per ricordarlo a Vicenza, visto che è stato un personaggio e anche un simbolo della città per decenni.
Virgilio Scapin davanti alla sua libreria negli anni Seattanta
Nella sua libreria ha ospitato fior di scrittori, anche Leonard Cohen, portato a Vicenza dall’associazione Italo-Britannica delle professoresse Carla Pezzini Plevano e Francesca Valente. Storica la sua amicizia con Firmino Miotti, vignaiolo di Breganze. Fu proprio Firmino che lo convinse a concludere I magnasoète perché Virgilio s’era bloccato. Aveva scritto alcuni racconti, che erano usciti come regalo di Natale di Ugo Dal Lago, stampati dall’avvocato per regalarli agli amici, ma non riusciva ad andare avanti. Dai manoscritti conservati in Bertoliana, ho scoperto che lui mandava gli originali dei capitoli a Neri Pozza, che li correggeva e talvolta lo redarguiva aspramente. E fu Neri Pozza che inventò i magnasoète. In realtà, nell’originale Scapin aveva scritto passeri, cioè sèleghe, ma Neri Pozza cancellò il termine e lo sostituì con civette. Testimonia il critico Marco Cavalli: “Se uno conosceva Scapin capiva benissimo che tutta la sua vita era fatta di scelte istintive che non duravano. Prima ha la vocazione sacerdotale, poi la molla; poi frequenta l’università, ma non ha voglia di studiare e non la conclude. Tra l’altro rinuncia all’università nel momento più importante, quando poteva andare in Inghilterra con Sergio Perosa che era un suo grande amico. Poteva allontanarsi da Vicenza e vedere il mondo. A quell’epoca non era un viaggio da niente. Poi fa l’oste al bar Firenze, in piazzetta Palladio, che era gestito dal padre. Neri Pozza andava a prendersi il caffè e gli portava gli scrittori: ecco perché li ha conosciuti tutti prima di aprire la libreria. Alla fine del ’62 ha rilevato la libreria, ne ha fatto una galleria. A quel tempo, essendo già amico di Parise, Pozza, Piovene che frequentavano il bar (allora considerato alla buona, trasgressivo, con ospiti graditi e non graditi, anche prostitute) se pensiamo allo spirito del tempo questi comportamenti erano incomprensibili, fra il drammatico e il goliardico”. Tre sfaccettature di Virgilio sono state messe in luce da mons. Bernardo Pornaro, al tempo arciprete della cattedrale, nell’omelia del suo funerale. La prima è l’esperienza della sofferenza, quella che lui ha provato e vissuto nei lunghi anni della malattia degenerativa che l’aveva colpito. E come aveva coltivato la fisicità (basta ricordare il piacere del cibo che provava e che addirittura scandalizzava Lea Quaretti, moglie di Neri Pozza, come testimonia nel suo diario quando racconta di Virgilio ospite a cena a casa loro) così non ha vissuto la sofferenza come disperazione, ma con lucidità e consapevolezza. Il secondo elemento è il gusto di vivere con lo spirito giusto. “Amo pensare – ricordò mons. Pornaro – al gusto di vivere di Virgilio come a un grande dono, dono della vita a lui nella sua sensibilità; dono di lui alle persone che incontrava, come un contagio che più si espande e più si diffonde e si intensifica. Troppe volte si licenzia con giudizi superficiali il desiderio di qualcuno di vivere intensamente, di gustare intensamente, di odorare profondamente il profumo della vita”. E qui si inserisce un altro messaggio della testimonianza di vita di Scapin: “Il salotto buono della sua libreria, anzi il salotto dell’incontro, dello scambio, del confronto, della ricerca, della dialettica, delle demitizzazioni mai fine a se stesse, ma rivolte ad aprire orizzonti, rompere barriere, sgretolare quelle concezioni pregiudiziali e dogmatiche di tanta cultura di corto respiro”. È un amore di schiettezza, quello di Scapin, che è anche amore di verità. Lui amava le cose vere e le persone genuine, amava la schiettezza sia di pensiero che di comportamento, fino a una schiettezza feroce e disarmante, sferzante e urtante. Ma la schiettezza è amore di verità, questo è il suo insegnamento.

Antonio Di Lorenzo

   
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