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Il pittore Romano Lotto: "Com'era bella la mia Vicenza degli anni Sessanta, con Scapin, Neri Pozza, Ghelfi, Quagliato e Festa"

Romano Lotto

Il pittore, oggi 92enne, ricorda gli anni della giioventù a Vicenza in una città viva

Romano Lotto in una recente foto
Si può essere diventati pittori perché da bambino la nonna gli regalava i colori ed essere stati allievi di un pittore di livello (ma anche celebre autore di falsi, specie di De Chirico) ma se a poco più di vent’anni si viene scelti dalla giuria del Premio Marzotto (che nel 1954 accettò 254 opere su 1400 presentate) si deve anche possedere un talento tale da lasciare a bocca aperta. Romano Lotto, all’anagrafe Rizzato, vive con brillantezza e vivacità i suoi 92 anni, fresco reduce da due mostre, una a Mestre e l’altra a Polesella, nel Rodigino. Due anni fa la sua mostra al museo civico fu un successo. Sposato con Giovanna Rotundo, sono genitori di una figlia, Emma, che è magistrato a Venezia. Dalla fine degli anni Sessanta s’è trasferito a Roma: ha insegnato per decenni a Roma e a Latina. A Vicenza ha insegnato alla media del seminario appena inaugurata nel 1963 e ha chiamato a sostituirlo un laico come Antonio Carta. Perché Lotto? Omaggio alla nonna Anna. A Dueville ho avuto un’infanzia complicata. Come mai? Ero gracile, malaticcio, delicato. Non mangiavo, ma giocavo alla guerra, partecipavo alle bande. M’ero costruito un fucile che sparava pallini. La nonna Anna mi comprava i colori perché vedeva la mia predisposizione. Ecco il perché del nome So bene che c’è un altro Lotto pittore, ma non me ne importava niente: io volevo ricordare la nonna.
Virgilio Scapin fu uno dei protagonisti della Vicenza degli anni Sessanta
In casa non approvavano la sua passione per la pittura? Mi avevano messo al collegio vescovile a Thiene che poi fu occupato dalla X Mas. Scappai. Camminai per 12 chilometri e tornai a casa. Quelli della X Mas erano gente che sparava ai treni, li ho visti. A casa, per la fuga dal collegio mio papà Gildo (la mamma si chiamava Emma, come mia figlia) mi picchiò. Al ginnasio fui rimandato a settembre in latino. Non era la mia strada. Papà capì che mi piaceva usare le mani e mi iscrisse al “Rossi”. Come terminò il confronto? Neanche il “Rossi” funzionò. Papà mi disse: “Ti mando a lavorare da un barbiere”. E io gli risposi: “Se mi trovi un maestro di pittura, ci vado”. Lo trovò? Certo. Renato Peretti fu il mio primo grande maestro. Da Dueville andavo in bicicletta fino in contrà Pigafetta dove abitava. Insegnava all’università, era grande amico di Giovanni Comisso, che ho conosciuto bene. Non dovrei dirlo, ma Peretti era anche un falsario. Però su Internet trova tutto. Allievo di Ubaldo Oppi, era coltissimo e un pittore finissimo. Ha creato anche una scenografia per il festival di Sanremo. Da lui avevo sotto gli occhi l’arte moderna. Beh, non gli originali. Invece sì. Peretti non copiava, ma inventava. Ammiravo De Pisis, Carrà, De Chirico e Morandi. Da lui passavano i quadri autentici dei grandi. Ho ricevuto una lezione straordinariamente colta. Poi c’è stato il diploma al liceo artistico Selvatico di Padova e il premio Marzotto. Fui accettato alla prima e seconda edizione del premio: avevo 21-22 anni. C’erano Sironi, Casorati, Semeghini, Guttuso e Carrà in giuria. Scusate se è poco, direbbe Totò. Poi arrivano gli anni in cui abita a Vicenza ed entra in contatto con molti artisti. Con altri giovani fondammo l’associazione La Bilancia. La chiamammo così perché avevamo gusti e tendenze diverse. Conobbi Tino Ghelfi quando vendeva ancora libri su una bancarella, poi smise e affittò un locale e infine si trasferì a palazzo Bonin: con lui ho esposto in sette mostre. Siamo cresciuti assieme. Gli consigliavo quali quadri comprare e gli spiegavo se erano veri o falsi. Chi ricorda di quel periodo? Tanti… Marco Chiovato, Piero De Pellegrini, Mario Giulianati, Giuseppe Rigon, scenografo della Scala di Milano, Luciana Sonda, Attilio Lunardi che poi andò a Milano.
Nereo Quagliato in una foto simbolo
C’era il giovane Nereo Quagliato Era un ragazzino che riproduceva le statue del cimitero nella bottega di Santa Lucia. Ruvido di carattere, estroso, pieno di energia e forza. Era determinato, senza paura. Un altro giovane era Miraldo Beghini, dieci anni meno di lei. Beveva tutto quello che gli dicevo. Con l’auto di mio papà andavano in giro a produrre e vendere le ceramiche. Vucetich l’ha conosciuto? Lo vedevamo, ci sedevamo magari vicini al bar, ma aveva un portamento distaccato. Del resto aveva 34 anni più di me. E qualche altro grande? De Pisis l’ho visto dipingere in strada De Chirico? Mi disse che voleva farmi un ritratto ma poi non se ne fece niente. Detestava la Biennale e partecipava alla Controbiennale. Otello De Maria? Era carino con me, mi stimava.
Un’immagine storica: la consegna al museo di Bassano nel 1987 del premio cultura a Licisco Magagnato da parte del sindaco Gianni Tasca. Gli sono vicini Neri Pozza e Pierdomenico Bonomo
Neri Pozza? Fu il primo che tenne una presentazione per me da Ghelfi. Mi fece assegnare la medaglia d’oro a una mostra. Era anche un lui un bel ruvidone Con me è sempre stato gentile. Mi accoglieva nel suo ufficio da editore. Mi chiedeva: “Posso mostrale i miei lavori?”. Era ostico ma generoso. Chiamò di fronte a me un gallerista di Venezia, De Marco, con studio vicino al Gritti, per ordinargli di esporre i miei lavori. Con alcuni giovani amici frequentaste i corsi di Salisburgo con Kokoschka, Vedova e Manzù. Kokoschka regalava le caramelle a Beghini come segno di apprezzamento. A me ne ha regalate decine, ma non lo scriva. Vede, ho sempre cercato di imparare. Sono andato due anni in Austria: il primo ho faticato, al secondo anno Vedova mi fece ottenere una borsa di studio, perché quei corsi erano a pagamento, eh? In seguito, Vedova voleva assumere Beghini come assistente all’accademia di Venezia e mi chiese un parere. Naturalmente approvai, ma le cose andarono diversamente.
Miraldo Beghini, artista vicentino di grande fama
Lei ha detto in un’intervista che Kokoschka vi faceva disegnare le modelle che non stavano ferme più di quindici minuti. Ci ha costretto a stabilire un rapporto veloce con le immagini. Lui spiegava la sua didattica come “una scuola del vedere”. Aveva ragione. A Vicenza era attivo Virgilio Scapin nel mondo artistico. L’ho conosciuto bene. Organizzò nel 1963 la mia prima mostra. La sua libreria era frequentata anche da Goffredo Parise, che incontrai qualche volta.
Tino Ghelfi, noto gallerista vicentino
Un grande appassionato d’arte era Angelo Carlo Festa Era un amico, un sostenitore. Si faceva fotografare assieme a me come “autentica” del quadro. Mi disse che un mio quadro era appeso vicino a un dipinto di Monet a casa Rothschild a Parigi. Silvio Lacasella, pittore che lei conosce bene, ha scritto che nei suoi quadri c’è la stessa luce di Manet. Una frase così merita un abbraccio e un bacio. Manet è un mostro: ha una retina che recepisce l’impossibile! Lei ha detto che anche Veronese per l’uso del colore era un astratto. Un pittore moderno, sì. Prima ha citato Gueri da Santomio. Ho grande rispetto per lui: era abilissimo, piacevolissimo e vendibilissimo. A proposito di colore, i suoi paesaggi sono molto famosi e apprezzati. L’origine dei quadri – l’ho spiegato in un’intervista tempo fa – va ricercata nell’emozione quasi infantile che mi colpisce: una volta si chiamava ispirazione, io la chiamo stupore di fronte a qualcosa che mi commuove, normalmente è un paesaggio. Chi sono i pittori che ama di più? Manet, Tiziano, Veronese, Tintoretto, Bonnard, Morandi. Che effetto le fanno i suoi quadri quando finisce un lavoro? Li guardo e provo disagio. Evidentemente punta alla perfezione. E che effetto le fanno i quadri degli altri quando va a una mostra? Sono un mangiatore di quadri, dalle Biennali degli anni Cinquanta a oggi. Si impara sempre. Qual è il fine dell’arte? La poesia. Un quadro, un libro, un’opera d’arte può essere o meno compita, ma rimane formale e accademica se non ha quella forza che supera la tecnica e tocca il cuore. Lei è stato molte cose: impostazione classica, espressionista, astratto, figurativo. Perché? Perché non sto mai fermo. La ricerca è continua. Se si ferma un pittore fa l’accademia di se stesso. Devo essere sempre ricettivo e mantenere l’entusiasmo a cercare qualcosa di nuovo.

Antonio Di Lorenzo

     
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