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Naturalis Labor: Visioni di danza

Luciano Padovani

Si è svolta a fine Settembre a Vicenza Danza D’Autunno, una nuova rassegna ideata dal direttore artistico
della Compagnia Naturalis Labor in collaborazione con il Comune di Vicenza. Cinque giorni fitti di
appuntamenti con la danza nazionale. Ne abbiamo approfittato per tracciarne il profilo.
Naturalis Labor, 35 anni di danza e visioni
Muove i primi passi nel mondo della danza per caso, intorno ai vent’anni, l’età in cui i grandi danzatori
contemporanei sono soliti approfondire la propria visione stilistica. La strada che imbocca Luciano Padovani
è quella di fondare, nel 1988, insieme alla collega Francesca Mosele, una vera e propria “casa della danza”.
Lo fa in occasione della partecipazione (e successiva vittoria) al “Concorso Internazionale di Coreografia
Città di Cagliari”. Nasce così “Naturalis Labor”; una compagnia di danza contemporanea con l’obiettivo,
come precisa lui stesso, di portare in scena un variegato repertorio tematico in Veneto.
-Qual è stato il momento in cui ha capito che questa sarebbe stata la sua professione?
Sin dagli inizi mi dissero che ero molto portato, anche se non riconoscevo le doti che mi venivano attribuite.
Fu però grazie a un’audizione per “La Fenice” di Venezia nei primi anni Ottanta, quando venni notato
dall’allora presidente Carolyn Carson. Raggiunsi la fase finale della selezione e non fui scelto, ma Carolyn mi
suggerì di andare a studiare a Parigi e New York. A Parigi, a partire dal 1983, ebbi l’opportunità di
frequentare lezioni insieme agli attuali coreografi di punta che dominano il panorama francese. Fui
estremamente influenzato dall’ambiente della “Nouvelle Vague” nella danza contemporanea che ebbe il suo
momento di maggiore splendore proprio nel pieno degli anni Ottanta. Mi ritengo molto fortunato ad aver
vissuto questo periodo storico. Parigi è stata la mia dimora come studente, ma sono cresciuto anche come
coreografo.
-Quale fu il momento cruciale per la Compagnia Naturali labor?
Pochi anni dopo la fondazione, quando nel 1991 avvenne il nostro debutto al Teatro Olimpico di Vicenza; lo
spettacolo intitolato Ciel de Fer prevedeva sei danzatori e un coro dal vivo. Fu un episodio che segnò l’inizio
di una nuova avventura artistica. Dobbiamo ringraziare il Comune di Vicenza che ha sempre creduto nel
nostro potenziale.
-Chi altro ha creduto nella sua visione?
“Arteven”, grazie al suo circuito regionale mirato e a scelte improntate allo sviluppo e alla creazione di nuovi
centri per la danza ha reso il Veneto “un’isola felice”. Non posso non citare Francesca Lazzari, ex assessora
alla cultura di Vicenza verso la fine degli anni Novanta e Rosa Scapin una figura centrale nella diffusione dei
valori promossi da “Naturalis Labor”.
-L’introduzione del tango nel 2006 è risultata una carta vincente per la compagnia
Si, questo stile così popolare e amato è ciò che ci ha permesso di raggiungere un’ampia fetta di pubblico e
ottenere grande consenso tra gli amanti delle nostre coreografie.
-Un momento importante è stata la nascita del festival “Visioni di Danza”.
Nel 2018, in occasione del trentennale della compagnia, abbiamo deciso di iniziare un’opera di divulgazione
della danza tramite questo festival annuale. Lo scopo era ed è quello di portare i valori di quest’arte in
piazza, nelle strade e avvicinare un pubblico più eterogeneo, non più elitario come un tempo. Il festival si
svolge nel territorio vicentino nel periodo estivo.
-Qual è oggi il rapporto tra organizzatori di eventi e artisti?
È un confronto di orientamento a tratti difficoltoso ma indispensabile per soddisfare le esigenze di entrambi,
spesso vincolate a fattori esterni sui quali i danzatori non possono esercitare alcun tipo di controllo. Ma
l’obiettivo rimane la divulgazione della cultura legata alla danza, dove la vera arte resiste alle mode del
tempo, misurando la tradizione, ma non a discapito dell’innovazione.
-Quest’anno a “Visioni di Danza” lei ha debuttato come coreografo con una prima nazionale eseguita
dalla sua compagnia

È un progetto a cui tengo molto On the Mountain: è un tributo alla disciplina alpinistica degli anni
Cinquanta. La storia parla di cinque alpinisti che devono conquistare la vetta di una montagna ma sono
bloccati dal freddo e dimostra come uniti, si possano affrontare le difficoltà della scalata, evidente
metafora della vita: la cima è là che aspetta.

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