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Così i ragazzini del dopoguerra inventarono Halloween a Vicenza per spaventare le anziane signore

Teschio candela

Un teschio e una candela: i ragazzini terribili usarono l'uno e l'altra per spaventare le anziane nobildonne gridando agi "spiriti"

Giocavano tra le macerie del duomo fra tombe e ossa: con una candela nel teschio gridavano agli "spiriti"

enrico rossi Enrico Rossi, autore dell'articolo, è stato comandante della polizia municipale di Vicenza
Enrico Rossi, già comandante dei Vigili Urbani a Vicenza, con questo articolo dipinge un quadro di Vicenza agli inizi deli anni Cinquanta, quando lui, assieme ad altri ragazzini, facevano parte delle bande che scorazzavano in mezzo alle macerie delc entro città. Nei primi anni Cinquanta nel Centro storico di Vicenza fervevano i lavori di ricostruzione post bellica. Vi erano ancora macerie un po’ ovunque. In particolare la Basilica Palladiana era priva del caratteristico tetto in rame a forma di carena e dell’attiguo palazzo comunale non era rimasto che un grande cumolo di pietre, mattoni e calcinacci; il tutto recintato da sacchi di sabbia. La piazza era sprovvista di pavimentazione dalle due colonne a contrà del Monte e, in più parti, c’erano degli scavi che lasciavano intravedere volte interrate e sottostanti piattaforme. All’angolo di contrà Oratorio de’ Proti e via S. Antonio il palazzo era un cumulo di macerie, anche queste cintate da sacchi di sabbia. Della cattedrale erano rimasti i muri perimetrali e il portale mentre il tetto e la cupola dell’altare maggiore erano collassati. In piazza Castello i fabbricati attigui a via Mure Pallamaio erano distrutti e formavano un grande cumulo di macerie e calcinacci recintati, in parte, da staccionate.
Un'immagine del duomo di Vicenza bombardato durante la guerra
Questi luoghi erano meta quotidiana dei ragazzi residenti in centro storico che trovavano il modo di penetrare nelle macerie e creare la sede della loro banda. Infatti, alla stregua dei Ragazzi della via Pal si erano formate la banda della Piazza dei Signori; di Piazzetta degli zoccoli (cioè contrà Pescherie Vecchie); di San Faustino; delle Barche; di piazza Castello. Ogni gruppetto di giovani vantava la propria inespugnabilità e maestria nel difendere il proprio territorio. Ecco allora le incursioni in altri territori, armati di fionde e cerbottane, alle quali bisognava attendersi le contro incursioni della banda rivale. C’erano le alleanze tra gruppi di ragazzi e tra queste era nota l’alleanza della banda di piazza dei Signori con quella di piazzetta degli zoccoli. La banda più temuta era quella di S. Lucia mentre si parlava di una mitica invincibilità della lontana banda di Savia Bona che, in centro, non aveva mai fatto incursioni.
vicenza duomo L'interno del duomo a Vicenza dopo i bombardamenti: era la meta dei ragazzi del centro che giovavano fra ossa e teschi
Una zona neutra delle macerie era il duomo, forse perché il luogo era “sacro” ma soprattutto perché era ben recintato. Si diceva che all’interno ci fossero tombe scoperchiate e oggetti preziosi ma che vi aleggiassero gli spiriti custodi del tutto. I racconti in tal senso si sussurravano tra compagni, ma nessuno sapeva davvero cosa ci fosse all’interno di quelle mura diroccate. Ecco allora la voglia di scoprire l’arcano ma, al tempo stesso, la paura di affrontare gli spiriti custodi. La parte più accessibile delle macerie del duomo era quella recintata con sacchi di sabbia all’angolo di via Cesare Battisti dove incombe la tomba esterna del vescovo ucciso la cui statua ha infitto un pugnale all’altezza del cuore. La lapide sottostante parla di “B. Ioannis De Surdis Cacciafrontis EP” che qualcuno di noi, latinista di prima media, cercava di tradurre arenandosi subito sulla parola “transfossi”. Detto fatto, in gran segreto si organizza una spedizione di pochi coraggiosi capeggiati da Cesare e Fabio: i più grandi. Superati i sacchi di sabbia all’altezza della predetta tomba qualcuno ha già dei ripensamenti e ritiene insormontabili alcune staccionate. Cesare apostrofa: “Chi non ha coraggio torni a casa dalla mamma”. A questo punto l’orgoglio maschio e soprattutto il timore di essere poi deriso da tutti, fanno vincere qualsiasi paura. Appena entrati, la navata del duomo appare enorme e tutta un formicaio di buche attorniate da travi, cumuli di sabbia, calce e altri materiali da costruzione. Effettivamente c’erano molte tombe  scoperchiate ma senza i resti mortali. Vicino alle scale che scendono nella cripta appaiono cumuli di ossa e molti teschi accatastati. Alcuni di noi indietreggiano mentre Fabio prende in mano un femore dimenticato e lo lancia sul cumulo. A questo punto l’idea dei più coraggiosi: perché non prendiamo un teschio e lo mostriamo alle gentildonne dei proti quando passano di qua per andare alle funzioni nella chiesa di San Giacomo? Le faremo fuggire di gran filata …. immaginate che risate.
teschio Un teschio e una candela: i ragazzini terribili usarono l'uno e l'altra per spaventare le anziane nobildonne gridando agi "spiriti"
Qualcuno di noi, nel suo intimo, non condivide l’idea ma non ha il coraggio di dirlo e quindi si passa alla realizzazione  pratica dell’intento. Fabio, il più spavaldo maneggia due teschi con disinvoltura e anzi lancia una nuova idea e cioè di accendere una candela all’interno perché il teschio sia ben visibile nella penombra serale. Tutto è pronto: volonterosi hanno procurato fiammiferi controvento e una candela, oggetti assai comuni in qualsiasi casa perché spesso non era erogata o addirittura mancava la luce elettrica. Le nobildonne, ospiti dell’Istituto Proti, frequentavano la parrocchia del duomo che, avendo la cattedrale distrutta, usava come ritrovo dei parrocchiani la chiesa dei santi  Filippo e Giacomo che però era chiamata solo S. Giacomo, sita nell’omonima stradella. Molte gentildonne preferivano transitare in piccoli gruppi lungo piazza delle poste e quindi proseguire in via Cesare Battisti, anziché le strette via Muschieria e Contrà do Rode o, peggio ancora, via Frasche del Gambero. In questo tragitto si accostavano per forza al muricciolo di sacchi di sabbia messi a protezione della cattedrale diroccata. È ormai l’ora del vespro e un gruppo di nobildonne con cappellino in testa, vestito lungo, borsetta e un nastro al collo con cammeo, chiacchierando, stanno per giungere in piazza delle Poste. Nascosti dai sacchi di sabbia i ragazzi armeggiano con i fiammiferi e la candela. Due teschi sono pronti per essere esibiti. Arrivano… sono ormai vicine …. All’improvviso i ragazzi urlano “gli spiriti, gli spiriti” e mostrano i teschi sopra la barriera. La fiamma della candela riempie di luce tremolante le cavità orbitali dei teschi… Le donne gridano per lo spavento e raccogliendo le gonne corrono verso l’altro lato della strada. Una di esse inciampa e cade. Il panico è totale. Qualcuno soccorre la malcapitata che imprecando minaccia : “Disgraziati se vi pesco vi faccio vedere io gli spiriti ….”. Anche per i ragazzi è subito panico e Cesare ordina : “Scappare, scappare”. A questo punto le staccionate non sono più un problema e, gambe in spalla, si corre, si corre, e ancora si corre . Qualcuno si ritrova alle macerie di Porta Castello ancora in apnea. Cesare e Fabio dicono a tutti i ragazzi: “Adesso a casa e acqua in bocca. Se qualcuno parla siamo fritti tutti”. La storia dei teschi fu l’argomento della settimana; se ne parlava ovunque nel centro della città. La domenica successiva al fattaccio, dopo la messa del fanciullo, alle nove, nella chiesa di S. Giacomo in ogni cappella laterale c’era una classe della Dottrina Cristiana. La maestra accenna al sacrilegio di alcuni ragazzi che non hanno rispettato il culto dei morti. Tutti vorrebbero sapere cos’è successo, ma nessuno sa puntualizzare se non raccontando lo spavento delle nobildonne e la conseguente caduta di una di esse. Qualcuno commenta sogghignando che, comunque, deve essere stato impagabile vedere le “cotolone” correre starnazzando come le galline. Il tempo, come sempre, cancella ogni cosa e nel giro di due settimane nel centro storico si parla d’altro. Quando, in tempi recenti, il fenomeno di costume Halloween è importato anche in Italia, qualcuno di noi scherzando dice: “Halloween l’abbiamo inventato noi… Scherzetto senza dolcetto”. (Enrico Rossi)  
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