Affollato convegno di Asiago per il centenario della nascita del grande scrittore
Ha brillato di molte voci (meno quella di Mauro Corona, che doveva essere l’ospite d’onore ma ha dato forfait alla sera precedente) il convegno organizzato ad Asiago, nella sede della Spettabile Reggenza, dalla Fondazione di storia per il centenario dalla nascita di Mario Rigoni Stern. Tra queste, ho scelto tre testimonianze di tono più personale e amichevole rispetto alle analisi letterarie.
Menegatti: "Così Mario convinse il banchiere a salvare l'Einaudi"
Luigi Menegatti, vicepresidente della Fondazione di Storia
MARIO E IL SALVATAGGIO DELL’EINAUDI. La prima è quella di Luigi Menegatti, vice presidente della Fondazione, che ha svolto anche il ruolo di moderatore dell’incontro. Ha ricordato un aspetto poco noto se non addirittura inedito, di cui è stato protagonista. Vale a dire il salvataggio della casa editrice Einaudi, quella con cui pubblicava Rigoni Stern, che è stato favorito da un intervento dello scrittore. Negli anni Ottanta l’Einaudi aveva bisogno di un intervento di riassetto e rilancio e l’intervento di una banca era necessario. Grazie a un pranzo all’
Aurora di Asiago, presenti Rigon Stern, lo stesso Menegatti e il potente Nerio Nesi, presidente della Banca Nazionale del Lavoro, l’obiettivo fu raggiunto. Menegatti, che lavorava a Milano alla Bnl ogni anno invitava il suo presidente ad Asiago. Lui aveva fatto da collegamento con Nesi, ma fu l’autorità di Rigoni Stern a convincere il banchiere a salvare la casa editrice fondata da Giulio Einaudi che aveva avuto Cesare Pavese tra i suoi primi autori.
Giancarlo Bortoli, attualmente presidente dell'istituto di cultura cimbra
IL BAMBINO BORTOLI “SALVATO” DA MARIO. Giancarlo Bortoli, storico, presidente in passato della Comunità di Asiago, oggi 70enne e già vice presidente della Provincia di Vicenza, ha raccontato un aneddoto personale. Siamo nel 1962, Giancarlo aveva quasi 11 anni e doveva prendere la licenza elementare per ottenere i documenti e raggiungere, assieme alla mamma, il papà emigrato in Germania per lavorare. Superato l’esame, la domanda per ottenere il visto era stata spedita in questura; ma le carte che avrebbero permesso di partire non arrivavano. Così la mamma spedisce Giancarlo in corriera da Asiago a Vicenza, città che aveva visto due volte, e di cui si ricordava soprattutto Monte Berico. Il piccolo arriva alla stazione della Siamic, vicino alla stazione ferroviaria e, gambe in spalla, si dirige in questura che a quel tempo si trovava a palazzo Folco a San Marco. Giunto negli uffici, Giancarlo spiega all’impiegato il motivo per cui si trovava lì, ricevendo assicurazioni che il documento appena firmato dal questore gli sarebbe stato consegnato. Ma l'orologio sul muro segna le ore inutilmente. Passa la mattina, passa il pomeriggio ma quella carta non arriva. La corriera del ritorno partiva alle 17.30 e il piccolo, deciso a non mollare, immaginava già di tornarsene a casa a piedi: da Vicenza sino alle risorgive, tagliando per i campi, in qualche modo sarebbe arrivato al Costo e da lì ad Asiago. Fantasie di bambino… Verso sera, finalmente il documento è firmato. L’impiegato della questura, preoccupato anche lui, visto il ritardo lo rassicura: “Guarda che qui c’è un tuo paesano che ti riporta a casa”. Il paesano altri non era che Mario Rigoni Stern, in questura per motivi suoi assieme al figlio Alberico, che Bortoli peraltro conosceva. Lo scrittore non solo accompagnò il bambino a casa, ma si informò di chi era figlio (“Di Rino partigian”, rispondeva il bambino) e sui motivi del documento (“Vai in Westfalia? Lì fanno buone cartucce…”) dimostrando un’umanità che Giancarlo Bortoli, oggi settantenne, ricorda con affetto.
Zovi: "Aver praticato la neve sin da piccolo gli ha salvato la vita"
Daniele Zovi, già comandante della Forestale e grande esperto di montagna
DANIELE ZOVI E L’ULTIMA SCIATA DI MARIO. L’umanità di Rigoni Stern è stata sottolineata da un’altra testimonianza, quella di Daniele Zovi, per lunghi anni a capo dei forestali dell’Altopiano, che, sulla scorta del suo ultimo libro sulla neve, ha raccontato il rapporto tra Mario e la neve. Ha letto il racconto di Mario bambino sulla neve del 1929 quando imparò a sciare in quell’inverno freddissimo che fece scendere i termometri a meno ventisette. “Il fatto di avere praticato campi innevati sin da piccolo gli ha probabilmente salvato la vita”, sottolinea Zovi, citando una frase di Rigoni Stern. E aggiunge: “Lui racconta la neve sempre in termini di fratellanza, direi francescani: fratello sole, sorella luna e anche sorella neve. Questo sentimento è presente anche in noi gente di montagna: la neve che ci fa fare fatica e che spesso impedisce i movimenti non viene mai vista con stizza e fastidio. Tra noi e la neve c’è un legame profondo e familiare”. “La neve è una grande lavagna dove la natura racconta le sue storie. Questo modo di leggere la natura è il messaggio più importante ancora attualissimo. Mario ci sta dicendo: siamo stati distratti troppo da computer e televisione, dobbiamo tornare ad osservare la natura che ci insegna a vivere meglio”.
Mario Rigoni Stern, del quale quest'anno ricorre il centenario dalla nascita
Zovi ha raccontato due episodi. “Nel 1985 c’è stata la grande nevicata, che bloccò ogni nostro movimento. Ad Asiago per tre giorni rimanemmo isolati dalla neve. Furono tre giorni fantastici, vissuti con molta allegria. Facevo il forestale, eravamo dotati di una Panda 4x4, forse la prima, e di una motoslitta, con cui si andava nelle contrade più lontane. In realtà, i montanari se la cavano sempre con la neve. Questo concetto l’ho sempre ripetuto a tutti i prefetti che si sono succeduti A Vicenza ed erano preoccupati dalle grandi nevicate”. “Tra i tanti giri, nel 1985 andai su dal Mario. Ci accolse: “Siete le prime persone che vedo in tre giorni”. Aveva una betulla piegata dalla neve e pericolante: intervenimmo e la salvai. Per festeggiare, Mario aprì una bottiglia di amarone. Non è mia abitudine bere a quell’ora, ma accettai. Con il calice di vino guardammo il paese in basso, disteso sotto la neve. In silenzio. Perché il silenzio era la giusta colonna sonora per quello spettacolo”. Il secondo ricordo è legato a Mario molto vecchio. “Ero passato a prenderlo per uscire – racconta Zovi – Era incerto, ma la moglie Anna lo convinse. Arrivammo a Campolongo, l’idea era di arrivare a malga Mandriele. Sulla strada, c’era un punto scivoloso e cadde. Fu rapidissimo a tirarsi su e a spazzolarsi. Non voleva che si capisse che era caduto. Iniziammo a sciare, e quella – se non l’ultima – fu una delle sue ultime sciate. Ma ogni cinquanta, cento metri c’era qualcuno che lo fermava per stringergli la mano. E lui non si limitava a salutarlo, ma si informava, chiedeva: “C’è ancora quel panettiere che fa il pane così e così?”. Era lui che faceva le domande. È vero, come è stato detto, che tra i suoi scritti e l’uomo esisteva una perfetta identità. Ma all’obiettivo di una scrittura semplice, che parla a tutti, è arrivato perché aveva dentro una grande forza etica e una grande semplicità umana. È vero che è stato un grande maestro di scrittura, ma perché era anche un grande maestro di vita”.
Antonio Di Lorenzo