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Cronaca
26.06.2025 - 08:18
Foto di repertorio
Vicenza si prepara a scrivere una pagina decisiva nella storia giudiziaria ambientale italiana ed europea. Oggi,26 giugno, il tribunale del capoluogo veneto emetterà la sentenza su uno dei più gravi casi di inquinamento mai registrati nel continente: la contaminazione da Pfas causata dalla Miteni, storica fabbrica chimica di Trissino. È il primo processo penale di questo tipo in Europa ad arrivare a una possibile condanna.
Secondo l’accusa, l’azienda sarebbe stata una vera e propria bomba ambientale, che per decenni ha sversato sostanze tossiche nel suolo e nelle acque, inquinando una vasta area che coinvolge circa 350mila persone tra le province di Vicenza, Verona e Padova. La Procura ha chiesto pene durissime: 121 anni di carcere in totale per nove dei quindici imputati, tra cui ex manager della Miteni e alti dirigenti di Mitsubishi Corporation e dell’investitore lussemburghese Icig.
I capi d’imputazione parlano chiaro: disastro ambientale, avvelenamento delle acque con dolo, inquinamento e bancarotta. Al centro del processo ci sono le responsabilità nella gestione dello stabilimento chimico, attivo dal 1965 fino al fallimento nel 2018. Il sito ha prodotto composti fluorurati – i famigerati Pfas – che si sono infiltrati nelle falde acquifere e nei corsi d’acqua, compromettendo l'approvvigionamento idrico di un'intera regione.
Secondo le indagini condotte dal Noe dei Carabinieri, l’azienda era perfettamente consapevole della gravità dell’inquinamento già dagli anni Novanta. Le prove emergono da documenti interni e relazioni ambientali commissionate dalla stessa Mitsubishi, che nel 2009 cedette Miteni al fondo Icig per la simbolica cifra di un euro, escludendo esplicitamente ogni responsabilità per i danni ambientali.
A partire dal luglio 2021, il tribunale di Vicenza ha ospitato oltre 130 udienze, durante le quali sono stati ascoltati scienziati, tecnici, dirigenti sanitari, madri di bambini contaminati e rappresentanti delle istituzioni. Le parti civili sono più di 300, tra cui associazioni come Mamme No Pfas, Legambiente, Greenpeace, Cgil, amministrazioni locali e società acquedottistiche.
I racconti in aula hanno composto un mosaico inquietante: diverse madri hanno ricordato lo shock provato nel 2017, quando vennero informate che i loro figli adolescenti avevano nel sangue concentrazioni di Pfoa e Pfos molte volte superiori ai limiti di sicurezza. Hanno dichiarato che, fino a quel momento, nessuno li aveva mai avvertiti dei rischi legati all’uso dell’acqua potabile.
Particolarmente significativa è stata la testimonianza del dottor Pietro Comba dell’Istituto superiore di sanità, il quale ha raccontato che nel 2017 l’Iss aveva predisposto un accordo con la Regione Veneto per realizzare uno studio epidemiologico triennale nelle aree contaminate, con uno stanziamento di 252mila euro. Tuttavia, ha aggiunto che la Regione non sottoscrisse mai l’accordo, senza fornire spiegazioni ufficiali.
Una motivazione è emersa solo più tardi, nell’ottobre 2023, quando l’allora consigliera regionale Cristina Guarda ha citato le parole di Comba in un’interrogazione consiliare. L’assessora alla sanità Manuela Lanzarin ha riferito che, secondo la Regione, l’indagine era rimasta sospesa per motivi di natura economico-finanziaria.
Nel corso del processo, la difesa ha sostenuto che Miteni aveva sempre rispettato le leggi vigenti. Gli avvocati dei dirigenti Mitsubishi hanno affermato che l’azienda, durante la loro gestione, avrebbe persino ridotto l’impatto ambientale rispetto alla precedente proprietà, la Rimar Marzotto. Luigi Guarracino, ex direttore generale e amministratore delegato di Miteni dal 2009 al 2012, è stato l’unico imputato a comparire di persona in aula: ha dichiarato di aver sempre agito secondo le regole.
I legali del fondo Icig hanno invece insistito sul fatto che, fino al 2013, non esistevano prove scientifiche certe della pericolosità dei Pfas per la salute umana. Hanno inoltre sottolineato che non esistevano normative italiane specifiche in materia. Tuttavia, in aula è stato ricordato che già nel 2006 una direttiva europea aveva classificato il Pfos come sostanza molto tossica, persistente e soggetta a bioaccumulo, tra quelle vietate dalla Convenzione di Stoccolma.
È stato inoltre osservato che, nonostante l’assenza di norme italiane, l’azienda aveva comunque l’obbligo di prevenire l’inquinamento. Secondo l’accusa, tale obbligo era ignorato, come dimostrerebbero le stesse consulenze ambientali commissionate dalla proprietà.
Nella sua requisitoria finale, il pubblico ministero Hans Roderich Blattner ha sostenuto che i vertici aziendali erano pienamente consapevoli della situazione ambientale e, nonostante ciò, avevano deciso di continuare la produzione. Secondo il Pm, la decisione di vendere lo stabilimento per un euro fu presa dopo che una nuova perizia ambientale stimò il costo di bonifica in almeno 17 milioni di euro.
Il collega Paolo Fietta ha parlato di un comportamento doloso e criminale da parte degli imputati, insistendo sul fatto che il danno era stato causato con piena consapevolezza.
In conclusione, i due magistrati hanno chiesto l’assoluzione per sei imputati, ritenendo che non avessero un ruolo decisionale, e condanne per gli altri nove, con pene fino a 17 anni di reclusione per i vertici di Icig e Mitsubishi.
Parallelamente al processo penale, anche in sede civile si stanno registrando sviluppi rilevanti. Solo un mese fa, il tribunale di Vicenza ha riconosciuto il nesso causale tra il tumore di Pasqualino Zenere, ex dipendente della Miteni, e la sua esposizione prolungata ai Pfas, condannando l’Inail al risarcimento dei familiari.
Giampaolo Zanna, già segretario della Camera del lavoro di Vicenza, ha commentato che la salute dei lavoratori è da tutelare prioritariamente, ricordando che la Cgil lo sostiene da anni.
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