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Fitovigilanza e farmacista: quando “naturale” non significa “senza rischi”

Il Dott. Guido Franceschetti spiega perché il farmacista è un presidio fondamentale per la sicurezza nell’uso dei rimedi naturali

Fitovigilanza e farmacista: quando “naturale” non significa “senza rischi”

Il concetto di benessere è sempre più associato al ritorno alla natura, l’utilizzo di prodotti fitoterapici, integratori a base vegetale e rimedi alternativi è in costante aumento. Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre il 60% degli italiani ha fatto uso, almeno una volta nell’ultimo anno, di un prodotto a base di erbe, spesso in associazione con terapie farmacologiche tradizionali. Tuttavia, ciò che molti ignorano è che “naturale” non è sinonimo di “sicuro”. Ed è qui che entra in gioco la fitovigilanza, un ambito di crescente importanza per il farmacista.

 

La fitovigilanza è definita come l’insieme delle attività finalizzate alla rilevazione, valutazione e prevenzione delle reazioni avverse attribuibili ai prodotti vegetali. Funziona in modo analogo alla farmacovigilanza, ma si applica a preparati erboristici, integratori, rimedi omeopatici e nutraceutici. In Italia, il sistema nazionale di fitovigilanza si basa su Vigierbe, il database ufficiale dell’Istituto Superiore di Sanità, a cui i farmacisti possono (e devono) segnalare qualsiasi evento sospetto correlato all’uso di un prodotto vegetale.

 

Il Dott. Guido Franceschetti, titolare della Farmacia Nadalini di Adria (RO), vive ogni giorno questo cambiamento culturale nei confronti del “naturale” e conferma quanto il ruolo del farmacista sia cruciale nel proteggere la salute dei pazienti:

«Nel 2025 riceviamo sempre più domande su interazioni tra fitoterapici e farmaci – evidenzia Franceschetti. – La nostra priorità è informare: non basta vendere un estratto di iperico, serve chiarire se assume antidepressivi o contraccettivi. Se necessario, indichiamo di sospendere o consultare lo specialista».

 

L’iperico, per esempio, è noto per i suoi effetti antidepressivi leggeri, ma può compromettere l’efficacia di contraccettivi orali, aumentare il metabolismo di numerosi farmaci e, in alcuni casi, provocare crisi ipertensive se associato ad altri principi attivi. Allo stesso modo, il succo di pompelmo può alterare l’assorbimento di farmaci cardiovascolari, ansiolitici o immunosoppressori. Eppure, questi rischi sono spesso sottovalutati dai pazienti che si affidano a rimedi “green” con la convinzione che siano privi di effetti collaterali.

 

Il farmacista, quindi, si trova oggi nella posizione di mediatore consapevole tra natura e medicina, tra approccio olistico e sicurezza terapeutica. È lui a dover verificare l’anamnesi farmacologica del paziente, valutare le possibili interazioni, e – laddove necessario – segnalare casi sospetti. È lui a dover spiegare che un integratore non è un prodotto neutro, ma un potenziale agente attivo, e che proprio perché si acquista liberamente non significa che debba essere usato senza controllo.

 

«L’informazione è la prima forma di prevenzione – sottolinea Franceschetti. – Non tutti sanno che gli effetti di un fitoterapico possono sommarsi o interferire con una terapia farmacologica. Il nostro ruolo è proteggere il paziente anche da ciò che sembra innocuo».

 

Questa attività di filtro e tutela si traduce in un impegno concreto anche dal punto di vista professionale. Sempre più farmacie – anche nel territorio polesano – stanno adottando protocolli di sorveglianza attiva: raccolta dati sulle abitudini di consumo, consulti mirati prima della vendita di certi integratori, e formazione del personale su possibili effetti avversi. In parallelo, cresce l’adesione al sistema Vigierbe, strumento fondamentale per alimentare una banca dati nazionale sulle reazioni avverse legate all’uso di sostanze vegetali.

 

Una segnalazione corretta da parte del farmacista può infatti evitare il ripetersi di episodi rischiosi e contribuire a un utilizzo più sicuro e consapevole dei prodotti naturali. Ma la sfida è anche culturale: far capire al cittadino che la salute non è solo libertà di scelta, ma anche capacità di valutare le fonti, leggere le etichette, chiedere consiglio.

 

In questo quadro, la fitovigilanza non è un compito accessorio, ma una componente essenziale della professione farmaceutica. È un atto di responsabilità, di ascolto, di prevenzione attiva.

«Il farmacista oggi non si limita a vendere un prodotto. È un garante della sicurezza, un consulente che conosce tanto la chimica del farmaco quanto la biologia della pianta. E proprio grazie a questa competenza, può guidare il paziente in un percorso di salute davvero consapevole».

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