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Curiosità
02.09.2025 - 15:00
Foto di repertorio
Il dialetto veneto non è solo un modo di parlare: è un’identità, un atteggiamento, una filosofia di vita. Spesso etichettato come “duro” o “grezzo”, in realtà nasconde una complessità storica e culturale che merita di essere riscoperta.
Ecco 3 curiosità e segreti sul dialetto veneto che potresti non conoscere, ma che ti faranno guardare questa lingua con occhi nuovi.
Sorpresa: il veneto non è solo un dialetto dell’italiano, ma una vera e propria lingua romanza autonoma. Deriva direttamente dal latino volgare, non dall’italiano, e ha una grammatica e una fonetica proprie.
Non a caso, nel 2007 l’UNESCO l’ha riconosciuto come lingua minoritaria, e nel 2016 è stato proposto un disegno di legge per proteggerlo ufficialmente.
Ah, e ci sono milioni di parlanti: si stima che tra Veneto, Friuli, Trentino e le comunità venete all’estero, oltre 8 milioni di persone parlino veneto ogni giorno.
Il veneto ha fatto le valigie insieme agli emigranti e ha messo radici ovunque, soprattutto in Sud America. In Brasile, per esempio, esiste una variante chiamata “Talian”, parlata ancora oggi in alcune zone del Rio Grande do Sul.
Vuoi un esempio?
Il verbo "magnar" (mangiare) è diventato "magnar" anche lì, e si usa al posto del portoghese!
Un dialetto così forte da sopravvivere oltre oceano? Non è da tutti.
Ti sei mai chiesto perché i veneti dicono “céo” per dire “ragazzo”?
Deriva dal latino “caelum”, che significa cielo: il ragazzo è una cosa preziosa, come il cielo.
Ma attenzione: non tutte le parole che “suonano” venete lo sono davvero.
Prendi “bacàro”, tipico locale veneziano. Molti pensano venga da “bacco”, dio del vino… ma in realtà pare venga dal grido “far bàcara”, che significa far festa!
E la celebre espressione “ciò”? Non è un’interiezione moderna: viene dallo spagnolo “yo” (io), portata dai marinai nei secoli passati. Sì, c’entra il mare.
Il veneto non è solo una lingua da osteria o da “nonni”: è una vera mappa storica, fatta di viaggi, scambi culturali, influenze e resistenza.
Capirlo significa entrare in un universo dove ogni parola ha un’origine, ogni suono una storia.
E, come dicono a Venezia, “par no parlar, parla venessian!”
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